“Black Phone” è il come back di Scott Derrickson al genere thriller sovrannaturale, ma più vicino ai film di formazione, tratto dal romanzo di Joe Hill

Stati Uniti, 1978. Una tranquilla comunità è sconvolta dai rapimenti di alcuni bambini ad opera di un sadico psicopatico soprannominato il “Rapace” (The Grabber).
Diretto da Scott Derrickson dopo l’uscita per divergenze creative dal secondo capitolo di Doctor Strange, Black Phone è la storia del 13enne Finney, un timido ragazzo rapito anch’egli dal mostro e portato in uno scantinato insonorizzato a prova di fuga. In quel luogo c’è un vecchio telefono a muro nero non funzionante che una notte inizia a squillare, dall’altro capo Finney si ritrova ad ascoltare i consigli delle defunte vittime per combattere il Rapace.
black phone recensione
Un thriller a tinte kinghiane

Black Phone è l’adattamento del racconto del 2004, successivamente pubblicato nella raccolta “Ghosts” del 2005, di Joe Hill, figlio di Stephen King. Fra l’altro Hill è anche autore del romanzo del 2013 “NOS4A2“, trasposto per il piccolo schermo sulla rete AMC con la serie omonima, partita con ottime idee per poi perdersi fra le nevi di Christmasland nella seconda stagione.

Ed è proprio sfogliando la bibliografia del padre che è lapalissiano trovare elementi comuni a questa storia, prima fra tutti il tema dell’infanzia in lotta contro l’oscurità del mondo degli adulti. L’infanzia dei “Perdenti” di IT o degli altri perdenti di Stand By Me che partono alla ricerca del cadavere del piccolo Ray Brower, ha un ruolo chiave questa storia. In essa bullismo, violenza domestica, maturità, ricerca del coraggio e amicizia, sono gli elementi sui cui costruire le basi di quell’orrore profondo e dominante che prende la forma del Rapace.

I “Perdenti” di IT di Andy Muschietti (2017) e quelli di Stand By Me di Rob Reiner (1986)
Il black phone trascende così la funzione di strumento medianico per comunicare coi defunti, diventando l’elemento di distorsione prospettica: per Finney è l’acquisizione di una maggiore consapevolezza delle proprie capacità, una crescita personale per un film di formazione che fonde elementi horror. Non viceversa. Da vittima, il giovane ragazzo attinge forza dall’amico defunto, il più forte della scuola esperto di arti marziali come il suo mito Bruce Lee, che dal limbo senza fine in cui si trova, lo addestra a brandire il black phone come Thor il suo Mjolnir.
black phone recensione
Il ritorno all’horror di Scott Derrickson
Scott Derrickson torna a solcare un mare che conosce bene, ma è palpabile la sensazione che dopo l’esperienza Marvel non ha il coraggio di addentrarvisi. Black Phone, di fatto, vive in un limbo dove il sovrannaturale e l’umano naturale permeano la storia, ma non vengono scalfiti in profondità. Peccato, perché Ethan Hawke (con indosso la maschera disegnata dal mago degli effetti speciali Tom Savini) dimostra di essere un villain dal potenziale infinito, ma andando avanti con la trama quella luce di tenebra che lo avvolge nelle prime scene si affievolisce, perdendo molto.
A fronte di quello che può essere una critica negativa, Black Phone affronta con grande maturità narrativa, sullo sfondo dell’America degli anni ’70, delle tematiche attuali nel 2022; Derrickson da buon autore consegna la storia a un cast di giovani promesse che irradiano lo schermo, da menzione speciale la piccola Madeleine McGraw, interprete di Gwen, la sorellina di Finney che attraverso i sogni rivelatori aiuta la polizia a trovare il luogo di reclusione, e Jeremy Davies nel ruolo del loro padre alcolizzato incapace di comprendere il potere dei figli.

black phone recensione

Black Phone è il proseguimento naturale delle tematiche di Derrickson, un come back al genere horror e al thriller sovrannaturale. Una piccola produzione che poteva osare di più ma con elementi kinghiani che lo rendono un classico di genere.

VOTO CINEAVATAR