Date gli Avengers a Joss Whedon e vi solleverà il mondo, letteralmente.
Un inizio col botto quello del nuovo capitolo sul team di supereroi Marvel, schierati per la seconda volta in campo e sul grande schermo dopo Avengers (2012) da coach Whedon in persona. Tutto riparte da dove si era concluso il film precedente: la ricerca dello scettro di Loki trascina la squadra guidata dal capitano Steve Rogers (Chris Evans) nell’immaginaria nazione di Sokovia (il Forte di Bard di Aosta), imponente quartier generale del barone Von Strucker, dove incontrano i gemelli Pietro (Aaron Taylor-Johnson) e Wanda (Elizabeth Olsen) Maximoff, alias Quicksilver e Scarlet Witch.
La nascita di Ultron, attribuita nella pellicola a Tony Stark ma frutto della creazione dello scienziato Henry ‘Hank’ Pym (e inventore di Ant-Man) nel fumetto originale, deriva dall’esigenza di prevenire una possibile disfatta, nonché tragica dipartita dei compagni per cui Stark (Robert Downey Jr.), trascinato in una realtà alterata dai poteri di Wanda, si sente responsabile. Il progetto Ultron, o meglio l’idea di protezione e pace che sta alla base della sua costruzione, non ha però i risultati sperati e presto il lato oscuro dell’androide (James Spader) entrerà nel sistema di intelligenza artificiale progettata da Tony Stark, alias JARVIS, prendendo il sopravvento e trasformandosi in una mente evoluta, pensante e potenzialmente pericolosa. La linea tra pace e distruzione viene infranta in breve tempo e consente ad Ultron di dotarsi di un corpo robotico, forgiato con una lega indistruttibile di adamantio e titanio, e di una coscienza artificiale che vede nello sterminio totale della razza umana l’unica via per l’evoluzione. Incredibilmente cinico e risolutivo, il personaggio interpretato da James Spader oscilla tra una forte ironia e una sottile malvagità che contribuiscono a renderlo un villain intrigante ed estremamente subdolo, anche quando dall’alto delle sue grandi facoltà ‘mentali’ decide di programmare un androide ultra perfetto, la Visione, per mandarlo ad ‘eliminare’ gli Avengers.
Secondo la più classica tradizione disneyana dell’happy ending, il nuovo blockbuster dedicato agli Avengers è diretto dal regista americano nel rispetto del ‘rigido’ criterio, lasciando ampio spazio alla parte cinematografica e al concetto più ludico di intrattenimento. La linearità della trama mantiene infatti una struttura verticale (inizia, si sviluppa e si conclude in autonomia), pur preservando nel complesso un filo narrativo orizzontale (o seriale) tracciato con la consueta e onnipresente scena di lancio, tutta da gustare, dopo i titoli di coda. L’epilogo finale, carico di risvolti e di sequenze action di indiscussa qualità tecnica, riporta alla mente il mito biblico dell’arca di Noè nel suo concetto più metaforico, racchiuso nell’immagine di un’enorme astronave con motori a propulsione e in grado di volare, che rappresenta l’unica ancora di salvataggio a disposizione degli Avengers per condurre la razza umana, o quel che ne resta, alla salvezza. L’opera collettiva ed il sacrificio individuale di ciascun membro è ammirabile, moralmente ‘giusto’, eticamente quasi perfetto. Ma tutto ciò non basta a scongiurare l’eccessiva distruzione urbana, perpetrata durante l’intero film. La violenza, il sangue versato e lo sterminio compiuto da Ultron, per quanto non risultino enfatizzati da Whedon attraverso inquadrature esplicite ed offensive, non giustificano l’iperrealismo con il quale si cerca di eludere lo spettatore che il catastrofismo metropolitano sia necessario affinché tutto possa finire per il meglio, quando all’atto pratico coloro i quali hanno raso al suolo e sterminato gran parte della popolazione sono proprio i Vendicatori (ma quindi chi sono i veri buoni e chi i cattivi?). Proprio questa tendenza, non nuova dalle parti di Hollywood (vedi L’Uomo d’Acciaio, Trasformers, il recente Fast & Furious 7), di ‘nettezza urbana’, aumenta il grado di spettacolarizzazione che nei film di questo tipo non lascia spazio a riflessioni ‘sociali’ troppo elevate o introspezioni psicologiche in stile Nolan. Ma si sa, in ogni battaglia il prezzo da pagare è sempre alto, soprattutto in termini di caduti.
Detto ciò, il film si prefigura come un tripudio di adrenalina e divertimento che racchiude in sé ogni tipo di emozione: la complicità, l’amore, l’azione, il senso di giustizia e di dovere, ma anche lo scontro, la menzogna e le paure, presenti soprattutto nelle “visioni” dei Vendicatori procurate dai poteri psichici di Scarlet Witch. Tutto è completamente giocato sull’equilibrio e sul perfetto bilanciamento delle parti: Whedon, infatti lascia ad ogni personaggio il proprio spazio e costruisce attorno ad ognuno sequenze importanti dal punto di vista dell’azione ma anche dei sentimenti messi in gioco; il suo merito sta nell’aver approfondito personaggi quali Vedova Nera e Occhio di Falco che rispetto agli altri sono sempre rimasti un po’ sullo sfondo e non hanno avuto modo di esprimersi in pellicole individuali. Ultron per quanto sia uno dei villain più potenti dell’Universo fumettistico Marvel, sembra essere distante dal livello di imprinting oscuro del semidio Loki visto in Avengers, ma non per questo incapace di esercitare un certo tipo di carisma necessario per reggere il confronto con i supereroi rivali.
L’ironia, sulla scia dello stile utilizzato da Jon Favreau nei suoi Iron Man, è l’elemento essenziale di tutta la narrazione, concentrata in 140 minuti di puro spettacolo visivo, che forse sono troppi, o troppo pochi, per raccontare un’era così complessa ed una serie di personaggi altrettanto articolati.
Tantissime le scene di azione, lunghe, complesse e forse destabilizzanti per alcuni spettatori ma giostrate con angolature diverse in maniera tale da poterle vivere dai diversi punti di vista dei personaggi. Gli Avengers non sono più un gruppo che si sta formando, ma hanno imparato ad essere una “famiglia” che combatte insieme e che sa divertirsi con le sue problematiche e i suoi conflitti. L’accenno di scontro tra Steve Rogers e Tony Stark ha già il sapore di Civil War: il ‘guanto’ di sfida è stato lanciato… anche, e soprattutto, nello spazio ‘infinito’.
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