Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks torna al cinema in versione restaurata. Ecco 5 buoni motivi per rivedere il film.
A quasi 50 anni dalla sua uscita, torna nelle sale in versione restaurata Frankenstein Junior, il capolavoro del 1974 diretto da Mel Brooks.
Per l’occasione vi segnaliamo 5 buoni motivi per rivedere il film sul grande schermo, dal 27 febbraio al 1 marzo.
1. La rivisitazione del classico di Mary Shelley
Gene Wilder si è superato nel proporre come soggetto una rivisitazione, in chiave parodia, del classico della letteratura gotica di inizio Ottocento di Mary Shelley: Frankenstein o il moderno Prometeo.
Pioniere è stato questo romanzo così come il lungometraggio, marcato dallo stile personale di Wilder e Brooks, che firmano la sceneggiatura. Partendo dalla materia preesistente i due hanno sviluppato una storia con personaggi diversi a quelli dell’opera originale, ma simili nella sostanza. Il dramma è stemperato dalla vena ironica dei due autori, che hanno reso la satira il trademark per eccellenza della loro poetica.
2. La genialità di Mel Brooks e Gene Wilder
La genialità di Mel Brooks e Gene Wilder trascende i confini in questo lungometraggio. È nota la forte ispirazione ai classici film degli anni ‘30 di James Whale, tra cui il capostipite Frankenstein (1931).
Questa componente è resa nel taglio di inquadrature e nel costante – e comico – uso di transizioni (indimenticabile l’iride a cuore). Un omaggio alla cinematografia passata, ma anche una strizzata d’occhio allo spettatore smaliziato degli anni ’70, che stava conoscendo l’era della nuova Hollywood con la rottura degli schemi drammaturgici e delle regole del découpage.
3. L’atemporalità della storia
Ciò che rende Frankenstein Junior un cult assoluto è la sua perfetta atemporalità, che lo rende non collocabile in un tempo specifico. Proprio per questo, visto nel ’74, così come negli anni ’90 o oggi, non fa differenza: resta una delle commedie più geniali mai realizzate, intrise di quell’amore viscerale per la materia di partenza e per il gusto dello spettacolo e dell’intrattenimento. Si riderà sempre vedendo Frankenstein Junior.
4. L’adattamento e il doppiaggio italiano
Tra i pregi che hanno reso memorabile il film vi è il lavoro di adattamento dialoghi, curato da Mario Maldesi, anche direttore di doppiaggio. Senza dimenticare il merito di voci inconfondibili: Oreste Lionello, Gianni Bonagura, Livia Giampalmo, Gianna Piaz, Silvio Spaccesi e molti altri. Il fatto straordinario è la fortuna che hanno avuto molte battute del film, diventante iconiche. «Si può fare!» con l’immancabile cadenza e tono di illuminazione divina. Oppure lo scambio di battute tra il trio Inga-Frederick-Igor, reso alla perfezione in italiano: «Lupo ulula. Lupo ululà? Là, lupo ulu-là, castello ulu-lì».
5. La straordinaria versatilità degli attori
Uno dei punti di forza del film è proprio la scrittura dei personaggi, tutti ottimamente caratterizzati in ruoli diventati iconici. Beffardo e sottile è il gobbo Igor, impersonato da Marty Feldman. Superba la sinistra e misteriosa governante Frau Blücher, interpretata da Cloris Leachman. Raffinata, disarmante e buffa Teri Garr, nel ruolo dell’assistente Inga. Ogni parola risulterebbe sprecata per Gene Wilder, nelle vesti del dott. Frederick von Frankenstein, personalità accentratrice ma non ingombrante, dal carisma e dalle doti attoriali immensi.
Per finire una curiosità sul film. Una delle scene più riuscite è l’incontro della Creatura con un vecchio eremita cieco. L’attore che interpreta il maldestro, ma simpaticissimo, personaggio è un irriconoscibile Gene Hackman, perfettamente calato nella parte. Se qualcuno avesse il dubbio di ciò, la prova è nei crediti finali.