C’è qualcosa di magico, inebriante, che si propaga nel rumore roboante di una Vespa che si accende. L’odore della benzina, quell’accensione a pedalino, la manopola del gas pronta a essere aperta completamente, sono flash mnemonici di una macchina del tempo che ci riporta al nostro essere bambino. Il mare, le urla dei compagni di giochi, i vicini e i loro “ve lo buco quel pallone”, l’odore della pasta appena scolata e del sugo appena fatto. È una commistione di ricordi generati da associazioni visive, Luca, uno scontro tra presente e passato che fa dell’ultima uscita in casa Pixar un film sensoriale. Possiamo quasi toccare, sentire, odorare ogni dettaglio che scorre sullo schermo. Merito anche della resa visiva e del tratto poetico dei disegni animati e diretti da Enrico Casarosa. Ogni goccia è studiata e riproposta nella sua verosimiglianza, così come la struttura urbanistica di Portorosso, paesino inventato ma solo nel nome. Ogni vicolo, casa, vive di riflessi degli ambienti liguri, gli stessi attraversati dal giovane regista nel corso della sua infanzia. E Luca parla di infanzia. Portorosso si fa allora finestra sulla nostra realtà, reduplicazione in 16:9 e compendio immaginifico della vita che ci scorre a fianco. L’inquadratura ci osserva per illuderci di raccontarci, sia nelle nostre sfumature di oggi, che in quelle di ieri. Piazze, vie, circoli, gelaterie, sono molto più che semplici comparse urbane: come grembi materni questi paesaggi conservano e alimentano ogni tratto modellante i caratteri dei propri abitanti, e nel caso di Luca vanno a farsi portavoce della meraviglia infantile e della voglia di lasciarsi sorprendere, superando gli scogli del pregiudizio e della diversità.
Per quanto riconoscibili e solo all’apparenza caricati, i tratti caratteristici dell’italiano medio non scaturiscono mai negli stereotipi, ma si elevano a input narrativi di un tema che parla una lingua universale. Si parte dunque dal microcosmo di un paesino ligure, colorato, vivo di ricordi, per abbracciare un tema già ampiamente affrontato e universalmente riconoscibile e condivisibile, come quello della diversità. Ma proprio perché insignito di tradizioni, gesti, musiche, incontri ed espressioni tipicamente di stampo italiano, che anche un tema solo all’apparenza saturo al cinema diventa magicamente unico. Cambia forma, natura, proprio come Alberto e Luca al contatto con l’acqua nel film di Casarosa, lasciando che l’ennesima riproposizione di una storia archetipica ampiamente assodata e radicata nei meandri della nostra memoria collettiva, venga rivestita di freschezza.
Il desiderio di andare oltre la superficie, di vedere il mondo con occhi nuovi, assaporare la libertà abbracciando la ribellione, vede ne La Sirenetta il suo perfetto predecessore. L’accumulo di oggetti provenienti dalla terra ferma, la curiosità di andare oltre la linea di confine, nascondendo la propria natura perché ritenuta “diversa”, o “mostruosa”, torna a battere in questo nuovo film. Un trapianto cardiaco dall’odore salmastro che non perde di vivacità e sagacità, grazie anche a una caratterizzazione dei personaggi attenta e completa. Luca e Alberto corrono per le vie di Portorosso sulla scia di un’identità ben tratteggiata. Lo stesso può dirsi per Giulia. Sono ombre cinematografiche di personalità infantili plasmate da mani sapienti e rese reali. Spiriti di ricordi autobiografici rinati dalle ceneri di linee tratteggiate e poi animate, Casarosa affida a ognuna delle sue simpatiche creature (contenitori di frasi già cult come “Santa Mozzarella” e “Silenzio Bruno”) non solo ruoli rispondenti alla struttura narrativa proposta da Propp, ma anche di lumi tutelari di quel fanciullo tenuto nascosto nel buio della nostra interiorità.
Ogni punto di svolta in Luca recupera e ripropone in maniera pedissequa i passaggi essenziali del racconto di formazione, incapsulandoli nella tematica dell’accettazione del diverso. Se la struttura vertebrale di Luca vive sulla scia dei propri illustri fratelli maggiori cinematografici e narrativi, il legame diretto con la propria infanzia in Liguria, donano all’opera un’essenza iconoclasta.
I disegni, la resa dei colori, tutto vive di una poeticità che fa di quest’opera un unicum nel panorama recente della Disney Pixar. Le inquadrature e le scelte di regia rispondono agli umori e alle emozioni che si vivono (e si vogliono far vivere) attraverso lo schermo. L’amicizia indissolubile viene comunicata per mezzo di campi lunghi, che uniscono i tre amici in un abbraccio stretto fino a inglobare lo spazio circostante, ulteriore personaggio silenzioso e immobile all’interno del quadro narrativo. L’acqua che muta la loro essenza, le case a picco sul mare, le stradine impervie, sono tutti tasselli imprescindibili alla crescita dei ragazzi, influenzando lo scorrere degli eventi. Eppure qualcosa sembra frenare la corsa di Luca verso la riuscita totale. L’epilogo è anticipato da un turning-point scarno e poco indagato, affrontato solo superficialmente. Lo scontro tra buoni e cattivi viene così ridotto a una manciata di secondi, senza raggiungere quel climax emotivo tale da esorcizzare le paure e vivere di suspense.
Fortunatamente ad avvolgere l’opera di Casarosa è un mantello variopinto, poetico, sensibile, da assaporare a grandi mani come un piatto di trenette al pesto e da tenersi stretto, come un bacio a mezzanotte.