Un bene può essere considerato umano?
È questo il dilemma pseudo-esistenziale attorno al quale si snoda il nuovo film di Seth MacFarlane, Ted 2.
Sequel del primo fortunato e divertente capitolo che, con ogni probabilità e un considerevole riscontro economico ai botteghini, è già proiettato al futuro con un terzo progetto all’orizzonte, il film segna il ritorno al cinema della strana coppia che aveva fatto sognare e ‘piegare dalle risate’ nel 2012. Presenti all’appello, John Bennett (Mark Wahlberg), eterno ragazzo affetto dalla sindrome di Peter Pan, e il suo amico di sempre Ted (voce di MacFarlance), un bizzarro e irriverente orsacchiotto di quartiere animato dal sogno del suo padrone e diventato sorprendentemente ‘vivo’. Le priorità fondamentali su cui basava la sua vita nel precedente film, ovvero il fumo, la droga, le donne e il sesso, vengono ora scavalcate (o forse no?) dall’esigenza di avere una famiglia e di combattere per il suo stato civile.
In crisi post-matrimoniale con la consorte Tami-Lynn, Ted chiede aiuto al suo ‘rimbombamico’ di fiducia per cercare di superare i problemi che lo separano dalla moglie ma senza trovare soluzioni efficaci, fino a quando la sua pragmatica collega cassiera gli suggerisce un sistema rapido e infallibile per riconquistare la sua amata: chiederle di avere un bambino. Il rimedio sembra funzionare ma durante la domanda di richiesta di un donatore per la fecondazione assistita qualcosa va per il verso storto. La firma di Ted sui moduli burocratici non è valida, in quanto lo Stato americano, essendo a tutti gli effetti un peluche, non lo riconosce come un individuo attivo e partecipe della società e dunque non ‘umano’. Tra battaglie legali e una lunga serrata rincorsa per l’approvazione del ‘sacrosanto’ diritto, Ted e John si avventurano in un viaggio spericolato insieme alla giovane avvocatessa Samantha Leslie Jackson (Amanda Seyfried), bellissima, attraente e con la passione per la marijuana (non mancano le battute sull’accostamento del suo nome con quello di Samuel L. Jackson), che li porterà a New York per convincere il Gotha supremo degli avvocati, Mr. Patrick Meighan (Morgan Freeman) a perorare la loro complicata causa.
L’operazione attuata da MacFarlane ha un rilievo estremamente ‘politico’: la battaglia di Ted per il riconoscimento del suo valore ‘umano’ nella società tende il braccio alle altrettante lotte di coloro che reclamano e, continuano a farlo, la libertà quale diritto inviolabile. Al pari degli omosessuali e degli afroamericani neri che vengono citati nel lungometraggio, il regista mette a nudo la realtà quotidiana, con i suoi problemi e le sue criticità, cercando di esorcizzarla quanto più possibile con una chiave ironica e dissacrante che da sempre contraddistingue il suo modo di fare satira. L’influenza nel linguaggio utilizzato nella sceneggiatura, terribilmente pungente e diretto che fa dei suoi dialoghi e dei ‘botta e risposta’ il suo baluardo fondamentale, è quella dei programmi che hanno fatto la storia della tv americana, scardinando il concetto di ‘riverenza’ e spalancando le porte ad ogni tabù, ossia il David Letterman Show e il Saturday Night Live, mescolati alle esperienze più grottesche di serie cartoon come American Dad e i Griffin, portate al successo proprio dallo stesso MacFarlane, insieme autore e sceneggiatore.
L’enfasi della comicità, le cui dinamiche stravaganti e confusionarie donano un carattere deciso ed azzeccato alla pellicola, trova sfogo nel rapporto tra i due amici che si erigono ad emblema del buddy-movie contemporaneo, nel quale un orsacchiotto parlante è riuscito a diventare una sorta di maschera teatrale collettiva, sincera ed anticonformista, dietro al cui volto tutti si sentono liberi di sfogare le proprie rabbie, frustrazioni e repulsioni senza aver paura di esagerare troppo (nemmeno bofonchiando parolacce). Ed è proprio questa la direzione, dell’audacia e dell’intraprendenza, nella quale si incanala la narrazione nei suoi 115 minuti dove però la storia surreale e paradossale non riesce a eguagliare il risultato del primo episodio ne tanto meno a superarlo. Ted è più adulto e maturo rispetto al passato e ha un’anima; il tempo lo ha plasmato e fatto crescere rendendolo più consapevole ed emotivo, e quindi sensibilmente più ‘umano’. Il ricordo glorioso dei periodi spensierati trascorsi insieme all’inseparabile John è ormai lontano e la sua presenza come entità in ‘carne ed ossa’ ha rubato il posto al suo essere quell’allegra metafora vivente che ci aveva conquistato; una pura e semplice caricatura immaginaria frutto del nostro desiderio più profondo. Ad inficiarne è purtroppo la comicità: le gag e i momenti iper-goliardici da cameratismo più sfrenato che avevano dominato la precedente avventura sono relegate a piccole esilaranti circostanze che smorzano il grado di serietà di alcune sequenze del film; il livello di umorismo è più concentrato in piccoli sprazzi davvero irresistibili. Va dato atto a MacFarlane di essere il pioniere moderno della spavalderia, un artista colorito dall’infinito coraggio che prende a calci l’ipocrisia e non si cura delle conseguenze che le sue battute possono generare sul grande pubblico: con temeraria nonchalance inscena situazioni in cui prende di mira il compianto Robin Williams, scherza con moderazione sulla tragedia della Germanwings, e ironizza per la prima volta in assoluto su Charlie Hebdo. E secondo voi da quale bocca potevano uscire queste impertinenti parole?
Complimenti a MacFarlane e ora più che mai non ci resta che dire…Legalize Ted!