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Personalità 1: lo storico del cinema
L’incontro tra Shyamalan e Jason Blum, della casa di produzione Blumhouse, ha del miracoloso. Non solo infatti questa fusione creativa ha riportato in auge una carriera, quella del regista di origini indiane, che sembrava destinata a sprofondare senza guizzi nel dimenticatoio, ma si è creata una scossa tale nell’arte di Shyamalan sufficiente a tramutarla in qualcosa di completamente nuovo. Split racconta la storia di un uomo affetto dalla sindrome delle personalità multiple: nel suo corpo convivono 23 personalità differenti. Allo stesso modo, il film sembra palesare la frattura che intercorre nel cinema di Shyamalan.
Il regista di The Village, Il Sesto Senso, The Visit e (il fondamentale) Unbreakable giocava la sua poetica su una messa in scena enfatica e, al contempo, fluida. I suoi racconti erano indagini della realtà esterna, dei misteri del mondo. La sua fascinazione era soprattutto incentrata sul concetto di altro, di estraneo: dalle ninfe fuor d’acqua agli uomini non più di carne, passando per nemici invisibili ed onnipresenti come la natura o teorizzando la relatività dell’esistenza attraverso società utopiche. Lo Shyamalan post Blum è invece un filmmaker radicalmente nuovo e, cinematograficamente parlando, una persona diversa. Certo, l’indagine autoriale è sempre legata alla messa in crisi della realtà e alla scoperta della vera natura delle cose. L’attenzione del regista non si focalizza più sul mondo all’esterno dei personaggi, ma sul loro universo interiore. Sulla psiche.
Personalità 2: il Fan
Shyamalan è tornato. Ma è tornato forte! Per tutta la durata di Split c’è un’atmosfera familiare per il regista, sebbene al contempo sia aggiornata alla contemporaneità. La macchina da presa si muove con lo stesso effetto ipnotico delle migliori prove dell’autore. Le inquadrature sono centellinate e misurate per ottenere il massimo dai pochi elementi in scena. Shyamalan continua ad osare, senza la paura di piacere per forza, senza la pretesa di potere collocare la sua opera in schemi già visti e semplici da decifrare.
Il regista si riconferma capace di creare dei prodotti originali di assoluto valore in cui il twist finale (in questo caso, per i fan del regista, si tratta di un qualcosa di clamoroso, che vi farà gridare in sala) non è uno stereotipo ma un elemento portante della struttura filmica. Ciò che è celato, il colpo di scena, crea una coerenza incredibile agli elementi più controversi della sceneggiatura, riempie di significato la pellicola alla fine della sua durata.
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