Save Me Too, la serie Sky Original di e con Lennie James, scende ancor più nel sub-urbano londinese

Fin dove può spingersi il dolore di un padre nella ricerca della propria figlia scomparsa? La risposta della domanda in Save me too (2018-2020), la seconda stagione della serie ideata, prodotta e interpretata da Lennie James (The Walking Dead) dal titolo Save me. Una parolina in più – nel titolo – con cui raccontare non soltanto del salvare la propria figlia da un destino degno del paradosso di Schroedinger, ma anche di chi resta, e deve affrontare il dolore della scomparsa. La serie, in onda su Sky Atlantic dal 10 agosto 2020, riesce nell’intento di raccontarci del dolore umano, in un racconto neo-noir che fa del realismo e della crudezza scenica la dote in più.

Lennie James in una scena di Save Me Too

Realizzata nel gennaio 2017 con il titolo provvisorio Gone, e rinnovata – nel 2018 – quasi immediatamente per una seconda stagione dopo l’ottima risposta critica alla prima; la serie Sky Original rappresenta anche la reunion attoriale di Sol (Lennie James), Tommy (Stephen Graham) e Darren (Jason Flemyng) del cult-movie Snatch – Lo strappo (2000) di Guy Ritchie.

Nel cast di Save Me Too troviamo Lennie James, Suranne Jones, Stephen Graham, la new-entry Leslie Manville, Adrian Edmonson, Olive Gray e Jason Flemyng.

Save Me Too: la sinossi della serie di Lennie James 

Trascorsi 17 mesi da quando la vita di Nelly Rowe (Lennie James) è stata stravolta dal rapimento della figlia disconosciuta – Jody (Indeyarna Donaldson-Holness) – la ricerca continua instancabile. Nelly scende così nei meandri del sub-urbano londinese popolato di perversione, sesso e droga.

Lennie James in una scena di Save Me Too

Nel frattempo continua il processo a Gideon Charles (Adrian Edmondson) che, dopo le accuse di sfruttamento sessuale verso Grace (Olive Gray), potrebbe in qualche modo ricondurre il suo destino a quello della stessa Jody. Le conseguenze di tali azioni si riversano sulla vita della moglie di Gideon, Jennifer (Lesley Manville), ancora incapace di comprendere d’aver sposato un mostro.
A Nelly è legata Claire (Suranne Jones), la madre di Jody, ancora nel limbo tra il vivere di speranza o abbandonarsi al lutto della figlia.

Save me too: una corsa contro il tempo (sospeso)

Che aspettavate dal 2018 la seconda stagione di Save me (too), o semplicemente ne avete sentito parlare da un promo alla tv, o dalle righe di questa recensione, poco importa. La serie ideata da Lennie James è un mix d’emozioni, in un dramma familiare che vive di benevoli incoerenze narrative, e del trattare del dolore degli uomini in tutte le sue forme.

All’incertezza sul destino di Jody, si oppone la nascita di una nuova vita nella famiglia del Melonzola di Graham, o nelle dinamiche familiari tra il Goz di Coombes e la Zita di Beeput, con cui spezzare quella che sarebbe un’inevitabile monotematicità narrativa e un evidente nichilismo. Espedienti con cui arricchire non solo il racconto, ma anche l’animo del Nelly di James.

Lennie James

Nella sua cornice da neo-noir, infatti, Save me too è un po’ come i film di Josh & Benny Safdie, una corsa contro il tempo, con la differenza che quello del racconto di James è un tempo sospeso, quasi impercettibile. Ogni minuto è prezioso per ritrovare Jody, ma la totale incertezza – quasi TwinPeaksiana – sulle sorti della figlia, rendono la stessa ricerca tanto preziosa quanto del tutto inutile.

Il paradosso di Jody (e di Schroedinger)

In tal senso, le sorti di Jody sembrano davvero ispirate dal sopracitato paradosso di Schroedinger. Proprio come il celebre gatto – nel silenzio assordante dell’oblio – finché non viene ritrovata è sia viva che morta, con tutte le conseguenze possibili per l’evoluzione psicologica dei personaggi in scena.

La ricerca della figlia scomparsa diventa – per James – funzionale per far trasparire in scena il dolore interno di Nelly, e un (non) rapporto padre/figlia disfunzionale che l’ha portata a disconoscerla. In tal senso, la non-arrendevolezza, e l’essere disposti a tutto pur di ritrovarla, è da inquadrarsi nel peso addosso – e nelle conseguenze – di una scelta compiuta in giovane età, senza troppi patemi. Un dolore che, a livello scenico, oltre che in una recitazione viva, fisica ed emozionale, si riconduce nel giubbetto giallo – autentico simulacro narrativo ben esplicato nella logica del racconto.

Lennie James e Suranne Jones

Se Nelly non si arrende nella sua ricerca, agendo con i paraocchi, la Claire di Jones vive di una frattura interna. L’incapacità di trovare il modo giusto per affrontare il dolore per il lutto – sempre che di lutto possiamo parlare. Spezzandosi, così, ora nel continuare a cercare e nella speranza, ora nel lasciarsi andare, e nel frequentare terapie di gruppo con cui elaborare il dolore della perdita. Due modi, differenti e antitetici, con cui affrontare il dolore, dando così vivacità al racconto di Save me too.

Un racconto di padri e figlie nella nuova serie Sky Original

Quello di Save me too è un racconto di grande scrittura, ora nel mantenere viva la tensione, ora nel dispiego dell’intreccio scenico, ora nel delineare i propri personaggi. La forza dell’opera di James sta infatti nel presentarci agenti scenici vivi e opposti, dotati di caratterizzazioni colorate, tra simulacri narrativi e anime tridimensionali. Immergendoli, così, in un racconto dal ritmo netto, che nel pieno della middle-class inglese rilegge narrazioni già vissute di topoi già conclamati, in modo realistico e crudo.

Il Nelly di Save me too racchiude in sé l’animo dei Paul Kersey, i John Matrix, dei Scott Lang e del Tony Stark di Endgame. Eroi classici. Padri disposti a tutto pur di ritrovare, salvare – e in alcuni casi anche vendicare – la propria figlia.