CHI HA UCCISO LAURA PALMER?

Un mistero che, nei primi anni ’90, travolse milioni di telespettatori di tutto il mondo, incollandoli allo schermo. La domanda cult per eccellenza, la cui potenza sopravvive ancora oggi, dopo trent’anni dalla prima messa in onda della serie.
L’omicidio di Laura Palmer, una giovane e dolce ragazza, ha tormentato un’intera generazione e trova risposta solo nella seconda stagione… ma non si tratta di un semplice caso di omicidio per cui, una volta acciuffato l’assassino, tutto è risolto.
No, a Twin Peaks i misteri non finiscono mai.

La serie ideata dalle brillanti menti del regista David Lynch (Mulholland Drive, Eraserhead, Dune, Inland Empire, ecc.) e dello sceneggiatore Mark Frost, l’8 aprile ha spento ben trenta candeline ma la sua essenza di cult è approdata sino ai giorni nostri. Complice la terza stagione – The Return – arrivata ben venticinque anni dopo, nel 2017. Ma in fondo, Laura Palmer lo aveva promesso. Meanwhile…

Twin Peaks

Nel 2017 ricomincia quindi il nostro viaggio per scoprire i segreti celati a Twin Peaks, quella che all’apparenza sembrerebbe una tranquilla cittadina dello Stato di Washington.
Ma cosa ha reso la serie un cult anche per le generazioni successive?

Ciò che è certo, è che Twin Peaks ha cambiato per sempre il meccanismo narrativo della serialità televisiva di quegli anni. Fin dal principio, segna uno spartiacque nella storia della “network tv”: si tratta di un prodotto televisivo eccentrico e irripetibile, capace di differenziarsi completamente da tutte le serie televisive precedenti, data l’impossibilità di ricondurla a uno dei consolidati generi sfruttati dalla serialità televisiva del periodo.

La novità è evidente a tutti. Le tematiche sono cariche di morbosità, smuovono inquietudini profonde per cui è possibile scomodare il concetto psicanalitico di Unheimliche, tradotto dal tedesco con il termine “perturbante”. Quest’ultimo – secondo Sigmund Freud, padre della psicoanalisi – si caratterizza per essere qualcosa che ci appartiene da sempre ma di cui non abbiamo più memoria, una sensazione rimossa, in quanto inaccettabile e intollerabile dall’Io cosciente, ma destinata a riemergere. Il perturbante è proprio ciò di cui si avvale Lynch per esprimere la propria arte.
Il regista è un maestro nel rendere anche gli oggetti più banali e comuni, inquietanti e deformati. Si avvale di inquadrature prolungate su un particolare che subito acquista una funzione straniante: anche una situazione normale, con Lynch, ci appare alterata da una patina di surrealtà. Questa sensazione viene restituita allo spettatore anche attraverso i dialoghi, mai prolissi ma al contrario brevi e concisi, i quali sembrano sempre celare un doppio significato.

Twin Peaks, ancora oggi, conserva un forte valore non solo culturale ma anche cultuale e ciò che la contraddistingue è proprio la centralità artistica di Lynch – sia come autore che come regista – accompagnato da Mark Frost. Questo è uno degli aspetti principali che conferisce un taglio innovativo alla serie. Ciò è ancora più evidente nella terza stagione, The Return, per cui Lynch stesso suggerisce di concepirla quale un film lungo diciotto ore.

Decriptare Twin Peaks non è semplice. Lynch fornisce sempre una chiave a metà, lasciando che lo spettatore sprofondi nell’indeterminatezza degli eventi a cui assiste. Rimanere a galla è una fatica e ci si riesce solo comprendendo il forte valore simbolico celato tra le righe.
Le opere del regista sono sempre caratterizzate da atmosfere surreali, immagini ipnotiche e totale assenza di linearità. Costringono chi assiste a porsi domande, ad approfondire, a riflettere per capirne il senso. Le interpretazioni date alle sue pellicole non sono mai definitive ma sempre rimodellabili.
Tuttavia, analizzando alcune tematiche, il grande puzzle che rappresenta il ricco universo di Twin Peaks potrebbe essere ricostruito. O quasi. Mancherà sempre qualche tassello di cui non ci siamo accorti, perché a Twin Peaks nulla è ciò che sembra. Nemmeno i gufi.

Qual è il misterioso messaggio che Lynch vuole suggerirci per completare il puzzle? E quale la chiave completa per decriptare il codice? Sarebbe bello poter accedere alla mente geniale del Maestro per rispondere a tutte le incognite che si celano in questo bizzarro e inquietante universo. Non essendo purtroppo possibile, con questo articolo ci limiteremo a fornire alcuni spunti di riflessione legati alla terza stagione, in modo tale da poter aiutare (è quel che speriamo) il lettore a completare il puzzle iniziato ben trent’anni fa.
Ad assisterci in questo tortuoso percorso di comprensione, la nostra fedele tazza di caffè bollente dannatamente buono.

È TUTTO UN SOGNO?

Lynch non ha mai amato le trame lineari, i suoi prodotti presentano sempre un andamento contro intuitivo per lo spettatore, con il risultato di spiazzarlo. L’indeterminatezza tipica dei prodotti Lynchani avvolge anche il finale di stagione che, al posto di fornire risposte, è il punto di partenza per tutta una serie di nuove domande.
Il pubblico percepisce l’impossibilità di una fine e la risposta che più superficialmente si dà è che si sia trattato tutto di un sogno, tema che torna in maniera invasiva in The Return: una stagione più inquietante, visionaria e onirica delle precedenti.

Ridurre l’universo di Twin Peaks a un sogno risulta piuttosto semplicistico, quando ben sappiamo che la superficialità non è l’obiettivo perseguito dal regista: Lynch scava nell’inconscio di ognuno di noi. Bisogna scavare per trovare delle risposte, soprattutto dentro sé stessi.
Tuttavia, il sogno in quanto tale può essere una delle chiavi, probabilmente la principale, in grado di decriptare il codice. L’agente Gordon Cole, interpretato dal regista in persona, nei primi episodi dell’ultima stagione racconta di un sogno enigmatico: in un cafè di Parigi incontra una delle star italiane più belle di sempre, Monica Bellucci. La celebre attrice si fa portatrice di un messaggio misterioso.

“We are like the dreamer who dreams, and then lives inside the dream. But who is the dreamer?”

Twin Peaks

Cosa vuole suggerire la bella Monica a Lynch e, indirettamente, allo spettatore? E soprattutto, chi è il sognatore? Dare una risposta a questa domanda è tutt’altro che semplice, richiede un livello più profondo di conoscenza: si necessita di scavare nel vissuto di Lynch e Frost.

Entrambi, infatti, possiedono un background culturale piuttosto ricco. Traggono grande ispirazione dalla Conoscenza Vedica, ossia la conoscenza della verità fondata sulla percezione. I Veda, complesso di testi sacri da cui prende nome la più antica religione delle popolazioni arie dell’India, diffondono a tutta l’umanità la luce divina della conoscenza.
Da questa cultura, prende forma il concetto del Velo di Maya: il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa vedere loro un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista.

Il mondo, come suggerisce Schopenhauer, “è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure a una corda buttata per terra ch’egli prende per un serpente”.

Tra la vita e il sogno, il confine è sottile; tuttavia, al di là di essa, esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo deve interrogarsi.
Lynch posa su Twin Peaks il Velo di Maya. Il significato di ciò che mostra non si ferma mai all’apparenza, bensì possiede una natura illusoria e va ricercato dentro ognuno di noi, nel nostro inconscio. Il nostro compito quali telespettatori è quello di sollevare il Velo di Maya Lynchano e, in questo processo, trovare le risposte ai sempre più numerosi input disseminati dal regista.

Chi è quindi il sognatore? Molte interpretazioni fanno riferimento a Lynch stesso.
Ciò che è reale in Twin Peaks, sia sul piano simbolico che su quello della nostra realtà, è l’eterna lotta tra Bene e Male.

Twin Peaks

IL TEMPO

Una cosa è certa: il protagonista assoluto di questa terza stagione è il tempo.
Se consideriamo la nozione di tempo come ciò che permette di determinare l’ordine degli eventi, stabilendo quale tra essi si sia verificato prima oppure dopo, siamo fuori strada.

In The Return, come già abbiamo accennato, il tempo non scorre in maniera lineare. Questa è una delle chiavi di lettura per comprendere il finale della serie e non ritrovarsi spiazzati dal susseguirsi delle vicende che ci vengono mostrate. In Twin Peaks, il piano reale si interseca a quello simbolico: entrambi i piani coesistono azzerando il tempo, proprio come in un sogno.

Tuttavia, questo concetto si presta anche a un’altra interessante lettura.
Il Tempo, venerato nell’orfismo (movimento religioso sorto in Grecia intorno al VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo) quale Dio Chronos, nella religione romana viene identificato con Saturno.

Il pianeta viene riproposto in questa terza parte diverse volte: nei primi due minuti del primo episodio, subito dopo le parole di Laura, udiamo un suono. Ebbene, questo rumore è del tutto simile a quello che la sonda Cassini ha registrato nel suo viaggio su Saturno nel 2006. Ma non è l’unica curiosità: Saturno lo ritroviamo anche nel secondo episodio della terza stagione, quando Good Cooper si trova nella Loggia Nera: seduto su una poltrona, ascolta ciò che Laura sta cercando di suggerirgli. Accanto a sé, poggiata su un ripiano, ha quella che sembrerebbe una lampada dalla forma del pianeta.

Twin Peaks

Il culto di Saturno, e quindi le crudeltà commesse dai suoi adoratori, sono al centro delle vicende di Twin Peaks. Infatti, la serie non rappresenta soprattutto una denuncia delle atrocità commesse dall’uomo? Lynch, forse per la prima volta, questo lo mostra molto chiaramente nell’inquietante e spettacolare ottavo episodio, servendosi delle immagini del primo test positivo della bomba atomica nel deserto del New Mexico, avvenuto nel 1945.
E tutto questo ci porta a Judy. O, meglio ancora, alla sua nascita.

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JUDY, IL MALE HA UN VOLTO

Lynch non spiega mai le proprie opere, ama i finali aperti e lascia libera interpretazione allo spettatore, guidandolo attraverso la narrazione che avviene, come ormai è risaputo, piegando il tempo secondo il proprio volere.
Nell’enigmatico ottavo episodio della terza stagione, dal grande valore simbolico, l’autore utilizza il meccanismo del flashback per lasciarci un indizio sulla nascita della forza oscura che sembra avvolgere Twin Peaks.

Quello a cui assistiamo è un’esplosione nel deserto: siamo di fronte al primo test positivo della bomba nucleare. L’operazione si svolse a White Sands, nel New Mexico, il 16 luglio 1945. Meno di un mese dopo, Hiroshima e Nagasaki furono devastate da questo disumano strumento di morte. Siamo al punto di non ritorno: l’uomo crea un’arma capace di annientare in una sola esplosione molti suoi simili.
Da questa azione aberrante, accompagnata da un vortice di elettricità che in Twin Peaks è quasi sempre simbolo di malvagità o soprannaturalità, scaturisce qualcosa. Si tratta di una forma semiumana – The Mother, ossia Judy – dal cui corpo fuoriescono migliaia di ovuli. All’interno di uno di essi, ci vengono mostrate le fattezze di Bob: ecco che il Velo di Maya viene sollevato di qualche centimetro.

Twin Peaks

Judy simboleggia la madre di tutti i Mali, ovvero l’Esperimento, l’incarnazione del concetto stesso di male. Bob è il mezzo, un veicolo di cui Judy si serve per seminare il male nel nostro mondo. Laura, simbolo di purezza e plasmata dal Fireman, è la risposta che viene inviata sulla Terra per contrastare tutto questo.

In questa lotta, Bob non è solo. Undici anni dopo il primo test della bomba nucleare, ci mostra Lynch, una stazione radio viene attaccata violentemente. Poco dopo, le onde radio diffondono un messaggio inquietante per opera dei Woodsmen: coloro che seguono la volontà di Judy.

“This is the water.
And this is the well.
Drink full and descend.
The horse is the white of the eyes and dark within.”

Un inno alle tenebre. Successivamente ci viene mostrata una creatura simile a un rospo entrare nella bocca di una ragazzina dormiente. Indovinate chi, nel 1956, abitava nel New Messico, poco distante dalla stazione radio presa d’assalto?
Sarah Judith Novack Palmer, il cui padre lavorava per il Dipartimento della Difesa proprio al Progetto Manhattan.

Sarah Palmer, la madre di Laura. Sarah, di secondo nome Judith, troppo simile a Judy.
È quindi Sarah Palmer la personificazione del Male? Judy, da cui viene creato simbolicamente Bob. Sarah, la quale partorisce fisicamente Laura.

Laura e Bob: due facce della stessa medaglia a simboleggiare la primordiale lotta tra Bene e Male che, come sappiamo, in Twin Peaks non ottiene esito positivo.
Da qui, arriviamo al concetto di doppelganger, cifra stilistica di Lynch.

DOPPELGANGER

Ormai è risaputo: a Lynch piace giocare con il concetto di doppio. Come già accennato, Twin Peaks è avvolta dal Velo di Maya, sotto cui ogni elemento acquisisce sempre un doppio valore: simbolico e reale. Così come doppie sono le linee temporali su cui, possiamo affermare, si svolge la narrazione. Doppie sono anche le Logge: due luoghi metafisici extradimensionali, nei quali l’ordine degli eventi temporali umani viene stravolto e in cui il rapporto causa-effetto perde di significato.

The Return è basata essenzialmente sul concetto di doppelganger.
Il Bad Cooper che ci viene mostrato, capace di atti crudeli, non è altro che l’esatta copia malvagia (in quanto posseduta da Bob) dell’agente segreto Dale Cooper conosciuto nelle prime due stagioni di Twin Peaks.

Nelle ultime due puntate, il Velo di Maya che tutto avvolge viene sollevato definitivamente. Nell’ultimo episodio, infatti, ci viene mostrato il piano narrativo che coincide con la realtà dello spettatore. Dale – che in questa realtà rivelata prende il nome di Richard – e Laura, anche lei con un nome differente, viaggiano insieme diretti a Twin Peaks.
La cittadina raggiunta, però, è una copia quasi uguale della stessa ma non si tratta di Twin Peaks: in effetti, è la location in cui sono avvenute le riprese. I due protagonisti bussano alla porta di casa Palmer ma ad accoglierli non è Sarah, come ognuno di noi si aspetterebbe, bensì la vera proprietaria dell’abitazione utilizzata come set per le riprese.

Tutto sta a suggerirci che in quel momento ci troviamo nella nostra realtà, non in quella scenica. Avvertiamo immediatamente un senso di smarrimento e incredulità, alimentato sempre più dal non riconoscere del tutto l’agente Cooper. Siamo di fronte al Good Cooper oppure al Bad Cooper? E se fosse invece la somma di entrambi? Il nuovo Cooper, quello della nostra realtà, è un essere evoluto, in cui la parte malvagia e quella buona si sono riunite per sempre.

Lynch suggerisce che ognuno di noi conserva in sé il doppelganger di sé stesso: siamo la somma di azioni votate al bene e al male. Sta a noi decidere quale delle due forze perseguire.
Ma su cosa si basa essenzialmente Twin Peaks?
Twin Peaks è la storia di tutti noi. Parla direttamente ai nostri cuori.

Una piccola città ordinaria simile alle nostre, la vediamo per quella che è superficialmente ma, allo stesso tempo, avvertiamo la stranezza inquietante che l’avvolge.
Mark frost, nelle ultime pagine di “Twin Peaks – Dossier Finale, pone una profonda riflessione. L’uomo, nella storia del mondo, da sempre si chiede qual è il senso della sua esistenza, meravigliandosi a ogni piccolo passo che porti a una risposta verso questa domanda. Ma altrettante volte ci si chiede anche “e se fosse tutto uno scherzo? E se questa vita un senso non lo avesse in realtà? Perché viviamo e soffriamo?”.

Laura rappresenta il sacrificio umano, la storia del Male che ha la meglio sul Bene, la storia di tutti noi. Siamo allo stesso tempo vittime e carnefici della nostra stessa natura di esseri umani.
Nonostante il finale di Twin Peaks rimanga aperto, e quindi di libera interpretazione, una cosa è certa: è il Male a vincere, in quanto l’Uomo continua a perpetrarlo nel mondo. Ognuno di noi, nessuno escluso, è Judy.

Giulia Marzulli