Rachel è uno di quei classici drammi all’inglese che hanno reso celebri grandi autori come, ad esempio, James Ivory (quest’anno vincitore dell’Oscar alla miglior sceneggiatura per Chiamami Col Tuo Nome). Purtroppo le assonanze con i film dell’artista americano finiscono qui.
Tra scelte di casting polarmente opposte quanto a efficacia, una regia indecisa e una messinscena troppo verbosa, Rachel non riesce mai a decollare o a trovare una direzione, barcamenandosi tra una scena e l’altra senza coesione.
BROMANCE FUORI CAMPO
La vicenda parte dopo aver brevemente introdotto il rapporto tra i cugini Philip (Sam Claflin) e Ambrose. Quando il primo rimane orfano da piccolo, il secondo, più grande, lo adotta come un figlio, crescendolo con tutte le attenzioni. Ma problemi di salute costringono Ambrose a trasferirsi in Italia dall’Inghilterra, lasciando il giovane Philip da solo.
Notizie discordanti e lettere allarmanti su Rachel, la donna che ha laggiù sposato (Rachel Weisz) spingono Philip verso Firenze, dove troverà la casa del cugino disabitata e l’avvocato della moglie (Pierfrancesco Favino) a informarlo della morte di Ambrose.
Sconvolto, rientra a Londra per attendere l’arrivo della vedova, verso cui nutre ormai un odio profondo, convinto che sia la causa della morte del cugino. Tuttavia, l’arrivo della donna causerà non pochi sconvolgimenti a Philip, cresciuto in un ambiente maschile venerando Ambrose e ignaro dei sentimenti che stanno per emergere.
APPARENZE