QUEL BRAVO RAGAZZO, la recensione del film con Herbert Ballerina

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quel bravo ragazzo
quel bravo ragazzo
Il poster ufficiale di Quel Bravo Ragazzo
Lasciate ogni pretesa o voi che entrate“.
E’ questa la frase che dovrebbe essere affissa vicino ad ogni cartellone di Quel Bravo ragazzo, la nuova commedia di Enrico Lando con Luigi Luciano, in arte Herbert Ballerina. La ragione non è tanto legata alla qualità del film ma piuttosto al grado di intrattenimento dell’opera, perfetta nella sua leggerezza. Anche questo è cinema, o meglio, il cinema è anche questo.
Paperino incontra la mafia. Potrebbe essere descritta così l’esile trama di Quel bravo ragazzo: uno spietato boss mafioso, in punto di morte, ordina ai propri sicari di cercare il figlio che egli, anni prima, aveva avuto da una relazione mai riconosciuta. Il ragazzo si chiama Leone (Herbert Ballerina), nome paradossale data la sua goffaggine, e ama trascorrere le sue giornate a combinare guai insieme al parroco del paese, Don Isidoro (Maccio Capatonda), il quale ha protetto Leone come un figlio. Il ricongiungimento familiare è però brevissimo: Don Costabile muore poco dopo avere espresso le sue ultime volontà: Leone dovrà prendere la sua eredità e continuare il lavoro da lui iniziato con il clan, diventando un vero e proprio capo e uomo d’onore.
Inutile dire che gran parte della pellicola è giocata sull’high concept, classicissimo, dell’inadeguato in una posizione di potere. Ballerina veicola la propria comicità intrecciando lo slapstick con il non sense, in una sorta di commedia degli equivoci che incontra quella dell’assurdo (o meglio, dell’insensato) che è semplice ed essenziale come un one man show nei cabaret.

quel bravo ragazzo

Cinematograficamente, Quel bravo ragazzo, è un film onesto: le scelte di regia sono semplici, la recitazione ai minimi, la qualità del montato fa intuire dei tempi di produzione estremamente rapidi. Permane spesso la sensazione che qualche sequenza sia stata girata chiamando un ciak in meno, che si sia puntato molto sul “buona la prima” rinunciando alla fluidità del parlato (spesso gli attori si inciampano leggermente a parlare) e al lavoro sui tempi comici.
E’ per tale motivo che Quel bravo ragazzo è un lungometraggio rispettabile e per nulla pretenzioso. Anzi, risulta apprezzabile, prima di tutto, la schiettezza con cui si rivolge al pubblico. Sin dalla campagna marketing è chiaro il patto narrativo con lo spettatore: chi paga il biglietto non avrà sostanza, ma qualche ora di piacevole divertimento. Questa sincerità permette a Herbert Ballerina di riuscire nel suo intento e di essere apprezzato per quello che è. L’umorismo del film è piacevolmente accettabile da tutti, raramente volgare, anche in funzione di una visione distratta, magari durante un passaggio in TV nel pomeriggio. Le battute e i momenti goliardici, pur non riempiendo l’intera durata, riescono a strappare più di una risata. Se visto senza alcuna ambizione, Quel bravo ragazzo è un prodotto d’intrattenimento che scorre veloce come il vento e capace di costruire la comicità nel tempo in modo armonico, non basandosi su sketch isolati, ma inserendoli in un flusso narrativo. La pellicola di Lando applica la regola del less is more cambiandola in less is better: meglio per gli spettatori, meglio per i passaggi in televisione, meglio per chi al cinema va per “alleggerirsi” e non per “riempirsi”.
Consigliato a: chi conosce già (e sa cosa aspettarsi da) Herbert Ballerina.
Gabriele Lingiardi

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