
Paolo Virzì è da sempre uno dei registi italiani più proiettati al rinnovamento degli stili produttivi e di messa in scena del panorama cinematografico nostrano. Il suo stile guarda oltre il cinema europeo proiettandosi verso l’intrattenimento statunitense per quanto riguarda la struttura delle scene. I dialoghi sono ad effetto, ogni momento contiene in sé un elemento di interesse, la commedia non si perde nel frivolo ma, pur conservando una buona dose di leggerezza, affronta temi attuali. Si ricordano in questo senso film come Tutta la vita davanti, perfetto esempio di grottesco in funzione di una lettura satirica e corrosiva della realtà, o Il capitale umano, fino ad ora uno dei suoi migliori.
Per questo motivo ogni nuovo film di Paolo Virzì viene accolto con grande interesse da parte di pubblico e critica, perché si attende una lezione di equilibrio tra l’esigenza autoriale e uno sguardo verso il pubblico. Con l’arrivo in sala di Notti Magiche, il suo film più recente che segue l’esperienza estera di Ella & John, qualcosa sembra però essersi rotto.
Il film non può essere definito “sbagliato” nel significato usuale della parola: ovvero quando il risultato finale si discosta dalle intenzioni iniziali del regista. Tutt’altro, Notti Magiche sembra essere uscito esattamente come Virzì voleva presentarlo al pubblico. È proprio per questo motivo che, guardandolo sembra che l’ingranaggio non funzioni, che il film non riesca mai a trovare il giusto ritmo e la sua ragion d’essere e a comunicare le emozioni che intendeva trasmettere. Proviamo a capire perché.

1) Notti Magiche è un film sul cinema che non ascolta se stesso.
Un produttore cinematografico viene trovato morto la notte dell’eliminazione dell’Italia ai mondiali di calcio del 1990. Tre ragazzi, aspiranti sceneggiatori, vengono indagati come possibili colpevoli dell’omicidio. Questo spunto permette un viaggio in flashback nei giorni antecedenti il delitto: seguiamo i giovani nel loro ingresso nel mondo del cinema, guardando attraverso i loro occhi le dinamiche tra attori, registi e produttori di un cinema italiano che (forse) non c’è più.
Come è giusto che sia, i dialoghi rispecchiano il ragionamento autoriale di coloro che hanno lavorato al film. Non si può negare che Notti Magiche sia un lavoro estremamente personale, da questo punto di vista.
Lo scontro tra il cinema d’autore, attento alla classe operaia (rappresentato dalla figura del regista Fosco) e quello popolare della commedia sexy nella figura di Leandro Saponaro non graffia. Virzì cita, omaggia i cinefili con continue allusioni, che spesso spezzano il ritmo, ma non prende posizione. È come se accusando tutti non si accusasse veramente nessuno. Vediamo una carrellata di personaggi riprovevoli, vinti, falliti nelle loro aspirazioni, ma la regia non empatizza con nessuno e, allo stesso modo, non guarda con occhio severo. Insomma, non sappiamo che cosa ne pensano gli sceneggiatori della storia che hanno raccontato. Un’oggettività che male si addice al tono da commedia che, per sua natura, presuppone una presa di posizione.
Notti Magiche non ascolta se stesso perché, nonostante i continui inviti a non scendere a compromessi, a “guardare fuori dalla finestra” fatti dai personaggi, il film si rifugia in sé e non sceglie da che parte stare, non accusa mai veramente nessuno, non provoca mai lo spettatore.
2) I personaggi di Notti Magiche non cambiano.
Che Virzì voglia impostare tutta la narrazione sull’allegoria del cinema nuovo, vecchio, futuro e sulla ricerca delle cause per cui il cinema italiano versa nella precarietà in cui lo vediamo oggi è chiaro. Quello che delude è però l’arco narrativo dei protagonisti. Fateci caso: dall’inizio del flashback alla fine del film nulla cambia. Tutti gli avvenimenti riportano, negli ultimi minuti, allo status quo iniziale. Il gruppo si separa, ognuno ritorna alla vita che aveva in precedenza. Che cosa hanno ottenuto i personaggi da questa vicenda? Fisicamente nulla, e dal punto di vista psicologico qualcosa… che non viene però mostrato. Antonino osserva i suoi miti e le sue aspirazioni venire distrutte in un mare di disillusione, ma non vediamo come questo impatti sulla sua vita. Luciano letteralmente sembra non curarsi di tutto quello che ha passato. Guarda gli eventi con superiorità, come se fosse uno spettatore (cosa di cui viene accusato di non essere), e ritorna alla routine di un tempo. Eugenia, che subisce i traumi maggiori, li vive con una superficialità sconcertante, come se fossero parte di una sottotrama poco rilevante per gli sceneggiatori. Come mai, alla rivelazione di essere incinta, fatta durante il racconto alla polizia, non ci vengono mostrate le reazioni dei suoi amici? Che senso ha avuto impostare la narrazione su un flashback se questa tecnica viene richiamata solo in apertura e in chiusura? I tre ragazzi, a fine film, ragionano come ragionavano all’inizio.
