A poco meno di due anni da Mission Impossible – Dead Reckoning e dopo la presentazione all’ultima edizione del Festival di Cannes, arriva nelle sale di tutto il mondo l’attesissimo ottavo capitolo di una delle saghe action più iconiche della storia del cinema.

Dove eravamo rimasti?

La divisione dell’ultimo capitolo in due parti è diventata ormai una strategia collaudata in molte serie cinematografiche di successo (si pensi a Harry Potter, The Twilight Saga, Hunger Games, Fast & Furious…), e la nostra non fa eccezione. Inizialmente, l’ultima fatica della coppia Christopher McQuarrieTom Cruise avrebbe dovuto addirittura intitolarsi Dead Reckoning – Parte Due.

Ethan Hunt, con l’aiuto dei fedelissimi Luther (Ving Rhames), Benji (Simon Pegg), Ilsa (Rebecca Ferguson) e della new entry Grace (Hayley Atwell), è riuscito a recuperare dalle mani di Gabriel (Esai Morales) la chiave cruciforme che permette di accedere ai codici necessari a rendere vulnerabile l’Entità, l’intelligenza artificiale – diventata senziente – che minaccia l’esistenza del pianeta. Mentre le potenze mondiali si illudono di poter piegare l’Entità ai propri scopi, Ethan e la sua squadra sanno che l’unica possibilità di salvezza per il genere umano è la sua totale distruzione. Li attende dunque un’ultima missione coi fiocchi: sono soli, non hanno tempo e saranno costretti a spingersi oltre i propri limiti come mai prima, se vogliono evitare l’Armageddon nucleare.

“Le nostre vite sono la somma delle nostre decisioni.” Predeterminazione VS Arbitrio.

Se nell’episodio precedente si tratteneva paziente sullo sfondo in favore del combattimento tutto umano per il recupero delle due parti della chiave cruciforme, in Final Reckoning la battaglia diretta con L’Entità prende il centro del palco.

Anche se un tema ormai pienamente sdoganato nel racconto di finzione contemporaneo (cinematografico, ma non solo), quello della lotta all’intelligenza artificiale che assume coscienza e minaccia l’esistenza stessa della razza umana rimane comunque il principale fattore di interesse per quanto riguarda l’evoluzione narrativa della serie. Come si combatte un nemico senza corpo, un villain che non può essere imprigionato o ucciso? E, soprattutto, come si combatte un nemico che può prevedere tutte le tue mosse, alfiere dichiarato della dottrina di poter prestabilire ogni comportamento umano? L’Entità ha incoronato diffidenza e paranoia come reggenti temporanei del proprio dominio, mettendo in crisi ogni punto di riferimento e sfumando il confine tra Bene e Male.

L’unico a tenere la barra dritta e a incarnare una luce di speranza è ovviamente il nostro Agente Hunt, che, come al solito, non si fa mancare nulla, che sia un’immersione nelle profondità degli abissi del gelido Mare di Bering o un salto da un aereo monoposto in esplosione nel cielo del Sudafrica (si può affermare con ragionevole certezza che l’unico mezzo di trasporto in cui Ethan Hunt non abbia ancora rischiato la vita sia la navicella spaziale). Ethan combatte non soltanto per evitare che le principali potenze nucleari si polverizzino a vicenda, ma per affermare l’arbitrio dell’uomo, la libertà di scegliere, perché, come ricorda il saggio Luther, “le nostre vite sono la somma delle nostre decisioni” e non il risultato di un meccanico susseguirsi di azioni.

Mission Impossible The Final Reckoning recensione
L’Entità cerca di convincere Ethan ad assecondarla – Foto: Mission Impossible The Final Reckoning, la recensione

Se le sequenze d’azione non hanno nulla da invidiare ai precedenti capitoli in termini di spettacolarità e capacità di coinvolgimento, e non facciano altro che evidenziare il feeling della coppia McQuarrie/Cruise (qui non solo in veste rispettivamente di regista e attore protagonista, ma anche di co-produttori), qualche crepa risulta evidente nella tenuta narrativa e nella caratterizzazione dei nuovi personaggi. Forse è inevitabile che in una saga ormai trentennale non sia sempre possibile mantenere uno standard costante e che il meccanismo nel passaggio tra i personaggi passati e quelli presenti non risulti sempre facile da oliare.

Tuttavia, non si può non sottolineare, per esempio, come Gabriel sia uno dei villain meno riusciti dell’intera saga. Non gli si chiedeva il carisma di Solomon Lane (Sean Harris in Rogue Nation e Fallout) o la crudeltà di Owen Davian (Philip Seymour Hoffman in Mission: Impossible III), ma neanche ci si poteva aspettare una mediocrità tale da non far mai sussultare lo spettatore. Si tratta di un personaggio figlio della necessità di sceneggiatura di affiancare un antagonista umano a quello virtuale, nulla di più. Altro tasto dolente è il rapporto di complicità operativa tra Ethan e Grace, inutilmente esplicitato di continuo ma per nulla paragonabile a quello maturato con Ilsa Faust nei precedenti capitoli. Tutti aspetti che non sarebbero poi così degni di nota, se non fosse per l’atmosfera crepuscolare che aleggia dal primo all’ultimo minuto di Final Reckoning.

“Ho bisogno che vi fidiate di me. Un’ultima volta.” L’ultimo ballo?

La prima cosa che salta agli occhi a chiunque guardi il film, affezionato alla serie o meno, è l’elevato grado di nostalgia di cui è intrisa la pellicola (decisamente un po’ troppo elevato). Tutto sembra rimandare alla chiusura di un cerchio: i continui rimandi agli altri film (dalla Zampa di Lepre alla mitologica intrusione a Langley, passando per l’esplosione del Cremlino), la ricomparsa di vecchi personaggi o parenti di questi (a volte al limite del grottesco…), qualche battuta ad effetto del nostro eroe, la difficoltà a immaginare una situazione più critica di questa da dover sbrogliare, il titolo stesso, suggeriscono con chiarezza che siamo alla fine di un’epoca. Se poi sarà l’inizio di un’altra, sarà il tempo a dirlo.

Nel frattempo, pur con tutte le imperfezioni che si porta dietro, non resta che godersi l’ultima avventura di chi, in un universo cinematografico sempre più in crisi di eroi tradizionali, ha il coraggio di distinguere ancora nettamente tra bene e male, tra le scelte che è giusto o sbagliato compiere. Fidiamoci di lui. Un’ultima volta.