Liam Neeson potrebbe ormai dare il nome a un intero sottogenere cinematografico.
È stato il salvatore di ebrei Oskar Schindler e il patriota irlandese Michael Collins. È stato il nemico di Batman e il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn.
Eppure il pubblico di oggi lo conosce forse di più per i suoi exploit d’azione recenti…
Ormai in vista dei 70, l’attore britannico non si ferma e anche quest’anno pesta tutti – o almeno ci prova – in L’uomo sul treno – The commuter, dello spagnolo Jaume Collet-Serra (Paradise Beach).
Ce la mette proprio tutta il buon Liam, con il suo consueto carisma, ma stavolta trova un ostacolo difficile da superare.
No, non un malvagio avversario: un film che, a differenza del treno del titolo, non sa dove andare.
UN PUBBLICO DI PENDOLARI
Dopo una giornata da dimenticare, tra il licenziamento improvviso e la scuola del figlio da pagare, l’ex poliziotto Michael McCauley viene avvicinato sul treno da un’affascinante donna (Vera Farmiga) che gli propone un gioco: trovare una persona che si trova sul treno (e che non dovrebbe esserci) in cambio di centomila dollari. Michael accetta e ben presto si rende conto che non si tratta di un gioco, ma di qualcosa di letale…
L’incipit de L’Uomo Sul Treno è ben inscenato. Entrando nel vivo dello script e negli sviluppi della storia, però, ci si accorge che il film, che poteva essere un onesto thriller, sconsacra i buoni propositi iniziali e cade nel dejavu.
Purtroppo i personaggi di carta velina, le situazioni forzate e una regia perennemente sopra le righe fanno deragliare il treno e, di conseguenza, anche il film. Carenze vistose e continue trasformano il lungometraggio in un pretenzioso action con sterili (e finti) virtuosismi e un crescendo senza limiti che annienta del tutto la sospensione d’incredulità.
Come gli alienati pendolari che fanno da contorno alla vicenda, anche gli spettatori sono in balia di un treno che però non in che direzione andare. Non ci sono limiti a pugni, calci e colpi che il protagonista possa incassare senza riportare danni. Non c’è limite all’utilizzo gratuito di effetti speciali nel creare sequenze così poco realistiche che stonerebbero persino in un cartone animato di Wile E. Coyote.
Non c’è limite, infine, alla solita organizzazione malvagia che sembra avere poteri illimitati fino a quando la sceneggiatura non richiede una risoluzione in poco tempo.
Diciamo che sarebbe lecito (e rispettoso nei confronti del pubblico) impegnarsi quel poco in più per mantenere almeno un minimo di plausibilità.
ULTIMA FERMATA