
Forse, viaggiando in qualche dimensione alternativa alla nostra, un crononauta scoprirà una distorsione temporale in cui Gary Oldman è stato primo ministro del Regno Unito mentre Winston Churchill lo impersona in un film del 2017. Il nostro avventuriero potrebbe non trovare bizzarro lo scambio, magari addirittura senza accorgersene. Per due ore, questa è stata la sensazione che abbiamo provato noi spettatori vedendo L’Ora più buia.
L’ora più buia di Joe Wright verrà ricordato giustamente per l’incredibile performance dell’attore britannico. Oldman è irriconoscibile in volto, grazie ad un ottimo lavoro in fase di trucco, ma l’impressione di osservare un qualcosa di posticcio rimarrebbe se l’immedesimazione non fosse così totale nei gesti, nei piccoli tic, nelle incertezze. La rappresentazione dei grandi leader come umani e fragili non è, infatti, una novità nella cultura attuale. Per questa ragione il film cerca di fare un passaggio in più, raccontando le motivazioni che sottostanno all’esigenza di cambiamento. C’è la comunicazione politica, il bisogno di essere apprezzato e seguito per potere affrontare gli ostacoli delle prime fasi della guerra. La Storia (s maiuscola) serve al film per dare un senso ai fantasmi che tormentano i protagonisti. Il vero nemico da affrontare, scelta che rende brillante la pellicola, non è la fragilità dell’uomo di potere, ma il peso del futuro. Etica e realismo, patriottismo e orgoglio, si toccano nel dilemma che muove i fotogrammi e che risulta, ancora oggi, quanto mai attuale.
