
La recensione del nuovo film di Soon-rye Yim
presentato al Far East Film Festival 20
Una ragazza torna nella propria casa di campagna. Ritrova vecchi amici e inizia a coltivare, nel proprio orto, piante e frutti in modo tale da potere vivere in maniera autosufficiente. C’è poco altro, a livello di sviluppo narrativo, in Little Forest. Eppure, il film di Soon-rye Yim trasuda una voglia di raccontare e amare i propri protagonisti davvero travolgente. Cinema e cucina non rappresentano il più semplice dei connubi. Il gusto è un’esperienza personale, che difficilmente può essere resa visivamente. In Little Forest troviamo una grande cura nella descrizione per immagini del cibo. La consistenza degli ingredienti, ripresi in dettaglio, e la fisicità delle mani che li impastano, permettono all’opera di parlare a tutti i sensi dello spettatore.

Bisogna abbandonarsi ai fotogrammi per intraprendere questo viaggio umano, in cui il cibo diventa co-protagonista. Se la trama è ridotta all’osso, lo stesso non si può dire della profondità filosofica, pienamente cinematografica, del lungometraggio. I caratteri dei personaggi sono approfonditi mostrando ciò che mangiano e la loro cura nel comunicare. Soon-rye Yim osserva l’unione degli ingredienti come metafora dei cicli della vita. Il profumo, come nella madeleine di Proust, indica la via per la ricerca delle proprie radici. Il ricordo della madre assente è per la protagonista lo stimolo a ricercarla attraverso i gusti della sua infanzia. Un dolce può regalare un momento di consolazione alle anime afflitte e, per questo, prepararlo per una persona cara, significa, nella poetica del film, offrire la “Joie de vivre” al sapore di Crème brûlée.
