LA LEGGE DELLA NOTTE, la recensione del gangster movie di Ben Affleck

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la legge della notte recensione
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Il poster italiano del gangster movie La Legge della Notte di Ben Affleck

La legge della notte è un film dalla doppia anima.

Da un lato, infatti, sembra ricercare una certa autorialità, attraverso uno stile elaborato e con una scrittura complessa e poco convenzionale; dall’altro la regia di Ben Affleck pare volere puntare, come ancora di salvezza, sull’intrattenimento.
Live by night, questo il titolo originale (molto più appropriato), racconta la parabola di Joe Coughlin, una vittima della guerra reinseritosi nella società dai margini, in qualità di bandito. Nonostante sia figlio di un poliziotto, Coughlin riesce ad avere un grande successo nella carriera fino a che, l’amore per una donna, non lo porterà a rovinare tutto. Da qui nasce il suo proposito di vendetta: risalire la china e arricchirsi attraverso attività illegali, sfruttando il mercato nero derivato dalle politiche proibizioniste.
La Legge della Notte fonde i tratti caratteristici del Noir con l’epica familiare. Gli echi di Scarface e de Il Padrino sono evidenti così come l’intento di Affleck di raccontare l’America, le fondamenta della società moderna, attraverso la sua corruzione. In questo senso è encomiabile la capacità di ricostruire gli anni ’20 ricorrendo al minimo degli stereotipi grazie all’utilizzo di scenografie che balzano agli occhi e risultano credibili. La fotografia di Robert Richardson alterna momenti lirici di assoluto valore a scelte più televisive: il contributo del “maestro della luce” all’opera si sente e, sicuramente, la rende più valida.
la legge della notte
La Legge della Notte – Photo: courtesy of Warner Bros.
Il film, al netto dei valori produttivi, fatica a tirare le fila di un discorso che sembra non avere chiaro neanche Affleck. Per essere un prodotto di intrattenimento, le scene d’azione brillano, ma sono troppo centellinate. Per gran parte della pellicola il ritmo è troppo dilatato e i fatti poco interessanti per potere accattivare il pubblico. Quando invece Affleck si lascia andare ad inseguimenti e sparatorie, i movimenti fluidi di macchina e il montaggio serrato, fanno rimpiangere di non potere ammirare di più.
L’anima autoriale del lungometraggio, che si interfaccia con quella commerciale, è altrettanto inefficace. Sin dal prologo, la sceneggiatura tenta di mettere al centro la notte: le ombre in cui agiscono i personaggi, dovrebbero essere anche specchio di offuscamenti morali. Eppure il tema non viene mai approfondito, limitandosi ad essere enunciato dalla voce fuori campo. La notte non diventa mai personaggio e il film inizia a focalizzare l’attenzione su due storie distinte: la prima segue le gesta di Joe come brigante e contrabbandiere; la seconda come gangster. Le due linee narrative non si intrecciano quasi mai e si ignorano per buona parte del tempo.
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La Legge della Notte – Photo: courtesy of Warner Bros.
Il principale colpo di scena viene introdotto in un modo assai goffo e sviluppato con prevedibilità. La legge della notte riesce a recuperare senso solo negli ultimi minuti. I suoi molti finali chiudono tutte le trame iniziate ma, non avendo avuto alle spalle una costruzione altrettanto compatta, faticano ad arrivare al punto. Manca l’epicità della storia, il brivido del fattore umano. I personaggi sembrano quasi consapevoli di ciò che la storia riserverà negli anni a venire. Con il proibizionismo presente, nel periodo in cui si svolge la vicenda, i gangster riescono a delineare chiaramente ciò che accadrà nei decenni successivi.
È molto difficile quindi immergersi negli eventi storici, data questa prospettiva esterna. La più grande debolezza è la scelta di non andare mai a fondo dei tanti temi trattati e di non scegliere se voler essere un film di pura suspense o di riflessione sulla costruzione di una nazione. Tra le note positive la straordinaria Elle Fanning che gestisce un personaggio talmente forte da rubare la scena a tutti gli altri (nonostante il poco screen time). L’azione, quando c’è, è accurata. Si pensi ai suoni differenti di arma in arma, o alla scelta di ammettere il “fuoco amico” fra i possibili ostacoli per il protagonista.
C’era una volta l’America, sembra dire Affleck, riprendendo le tematiche classiche del cinema e del genere, ma con poca convinzione. Serve un regista coraggioso che rinnovi l’epica dei gangster, un filone che, ad oggi, non può più permettersi prodotti ‘ordinari’. Il rischio è l’indifferenza.
Gabriele Lingiardi

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