
Data l’apparente surrealtà di alcuni eventi narrati, è apprezzabile e condivisibile la scelta del regista Craig Gillespie (L’Ultima Tempesta, Lars e una Ragazza Tutta Sua) di adottare fin dal principio l’impronta della commedia per I, Tonya, pellicola biografica sulla controversa vita della pattinatrice statunitense Tonya Harding.
Forte sostenitrice dell’idea di riabilitare la figura della Harding agli occhi dell’opinione pubblica, in seguito al discusso scandalo olimpico che la vide coinvolta nel 1994 (l’aggressione ai danni della collega Nancy Kerrigan), la pellicola cede la parola alla stessa protagonista e alle persone intorno a lei in una serie serrata di finte interviste che non smettono mai di intrecciarsi con il racconto, neppure durante le singole ricostruzioni. Margot Robbie, interprete di Tonya e vera punta di diamante del film, rompe spesso e volentieri la quarta parete per far valere in maniera ironica e sfacciata il suo personale punto di vista su quello degli altri protagonisti.
Con uno stile che dondola tra la black comedy all’inglese e la filmografia dei fratelli Coen, ma dalla veste che strizza l’occhio al Cinema di Wes Anderson, I, Tonya approfondisce ciò che, sul momento, mass media e pubblico sportivo si sentirono facilmente in diritto di ingurgitare e restituire sotto forma di giudizio prematuro. L’opera di Gillespie non nega un seppur minimo coinvolgimento dell’atleta in quanto accaduto ma, al tempo stesso, cerca di fornire uno scenario di fondo e un contesto biografico/familiare/caratteriale tali da indorarne la pillola e alleggerire le spalle della Harding del peso della premeditazione.
