
È difficile immaginare un esordio più promettente con un film più umano e onesto: Girl, opera prima del ventisettenne belga Lukas Dhont, reduce da un simbolico trionfo a Cannes 71 (Caméra d’Or al regista, miglior attore allo straordinario Victor Polster nella sezione Un Certain Regard, premio Fipresci e Queer Palm), e ora inserito nell’iniziale selezione dell’Academy del miglior film straniero, è una rivelazione, uno di quei titoli che lasciano un segno indelebile.
Certo, il palmares parla chiaro, ma è solo lo specchio di un’eccellenza che, pur negli illustri esordi, ha radici già molto profonde. Prendendo a riferimento una storia reale, il regista ha lavorato a lungo su una sceneggiatura al contempo compassionevole e brutale, fino a plasmare – con uno sguardo così teneramente consonante alla storia da spingere ad una commozione sincera – Lara, giovane ragazza nata nel corpo di un ragazzo («era convinta di essere una ragazza malgrado la biologia non fosse d’accordo», dice Dhont parlando della storia che l’ha ispirato). E il regista in effetti si concentra pressoché unicamente su di lei: il suo occhio la segue senza sosta, ne coglie ogni lieve espressione, fa risuonare ogni giusta espressività lasciandola libera di esprimersi, rende superflue spiegazioni, chiarimenti, didascalismi. La protagonista, del resto, è solo Lara: lo è nel dolore che urla dietro una maschera di stoica compostezza, nell’immenso e ingiusto disagio che si accompagna alla ferma decisione di cambiare sesso, liberandosi di un corpo sbagliato, fuori posto, profondamente vilipeso.

Un corpo esposto, vero fulcro del racconto: da sempre disamorata del proprio aspetto, Lara è impaziente di vedersi trasformata in ciò che avrebbe dovuto essere sin dalla nascita. In questo snervante percorso – un iter puntualissimo e cauto, tanto da farne sembrare l’attuazione un lontano miraggio – nessuno critica la sessualità della ragazza, salvo rari casi, né alcuna sua scelta: il padre la sostiene senza condizioni (se non ovvie preoccupazioni circa la salute fisica), gli insegnanti la incoraggiano e la tutelano come possono, i medici sostengono le scelte imponendo tempi e percorsi. Vige, in generale, un senso di rispetto straordinario, di forte impatto culturale, per quanto sia difficile, in alcune situazioni, cogliere l’onestà intellettuale di tale maturità, l’effettiva bontà di un atteggiamento ben disposto. Sempre sincera oppure no, comunque, questa spontaneità per Lara non è sufficiente: non la salva dall’esimersi di affrontare quotidianamente il contatto col corpo che non tollera, e che è, in qualche modo, obbligata a offendere. Si sente un equivoco, un errore della natura.
