
C’è un’idea fortissima alla base di A Quiet Place – Un posto tranquillo. Nel 2020 l’umanità è decimata da una razza aliena apparentemente indistruttibile, formata da creature velocissime, e spietate, che attaccano qualsiasi cosa produca rumore. Non hanno occhi, ma possiedono un apparato uditivo sviluppatissimo. Il film segue una famiglia di sopravvissuti, che vive nel più completo silenzio per evitare di imbattersi nelle terrificanti creature. La vita deve andare avanti, la quotidianità, dopo l’apocalisse, cerca di ripartire.
John Krasinski, regista e protagonista del film, dimostra una sorprendete capacità di gestione della tensione. Il silenzio, al centro del meccanismo orrorifico, costringe il lungometraggio a parlare per immagini. E in questo è fortissimo. Spesso il muto è tornato nel cinema contemporaneo come abbellimento estetico, un po’ nostalgico (The Artist), o come provocazione autoriale The Tribe). In Un posto tranquillo invece la (quasi) totale assenza di parole diventa un mezzo per amplificare la forza delle immagini, non per lodare l’abilità stilistica dell’autore. È grazie a questa umiltà che il film riesce a far concorrere ogni elemento della messa in scena per raccontare la migliore storia possibile. Tutto è in equilibrio.
Il lavoro di sound design è eccellente: la quiete viene proposta come un ambiente sonoro fatto di piccoli rumori molto forti (i cigolii, i respiri, hanno il livello di volume che normalmente viene offerto ai dialoghi) e di forti rumori assordanti. È un mixaggio non oggettivo, ma sensoriale, come quando di notte, nel dormiveglia, ogni minimo rumore sembra fortissimo. All’immersione contribuisce anche la colonna sonora di Marco Beltrami, che richiama il battito cardiaco dei protagonisti nei momenti di massima tensione.
A quiet place – Un posto tranquillo è un film che potrebbe essere stato girato in qualsiasi epoca della storia del cinema. I grandi maestri del cinema muto avrebbero potuto realizzarlo con successo, probabilmente Hitchcock l’avrebbe trovato stimolante. È un film che potrebbe anche essere nato tra gli ’80 e ’90, prima della rivoluzione digitale. Eppure al suo interno sono presenti le paranoie e le ansie del mondo contemporaneo. Questo pregio, rarissimo nel cinema di oggi, dovrebbe garantire un invecchiamento dolce e lentissimo all’opera, che potrà essere vista con godimento anche tra 10, 20 anni.
