Una stella di nome Hawking: il film “La Teoria del Tutto” ci ricorda il grande astrofisico a un anno dalla morte

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Hawking
Un anno fa, il 14 marzo 2018, moriva nella sua casa di Cambridge l’astrofisico settantaseienne Steven Hawking.
Le sue intuizioni hanno modellato qualcosa di enorme come la moderna cosmologia, vale a dire la scienza che studia l’origine e l’evoluzione dell’universo.
Photo by NASA, Public Domain
Photo by NASA, Public Domain
Uno scienziato visionario, la cui conoscenza avrebbe rischiato di restare limitata a un nome e poco più, se la sua storia non fosse arrivata al grande pubblico grazie a un film, che oggi vale davvero la pena ricordare. La sua eccezionale biografia è stata infatti raccontata dalla pellicola “La Teoria del Tutto” (The Theory of Everything) diretta da James Marsh nel 2014; il pluripremiato biopic fu ispirato alla biografia della ex moglie di Hawking, Jane Wilde, dal nome “Verso l’infinito”. Ma mentre il libro non riuscì a sfondare la barriera invisibile che separava il grande personaggio dal grande pubblico, per il film andò diversamente. La passione, il piglio, il temperamento del genio umanizzato rapirono e commossero le sale di tutto il mondo, anche grazie all’interpretazione magistrale di Eddie Redmayne, che gli valse il Premio Oscar come miglior attore.
Una performance intensa, perfetta nel riprodurre senza manierismi il progredire della malattia degenerativa che accompagnò Hawking per gran parte della vita: la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Una diagnosi devastante, che lo raggiunse poco più che ventenne ai tempi degli studi all’università di Cambridge, e che gli avrebbe dovuto lasciare – questo dissero i medici, all’inizio – solo due anni di vita. Ma così non fu, e Hawking sopravvisse per più di cinquant’anni.
È stato un tempo sufficiente, che gli ha dato modo di sposarsi due volte, di avere tre figli, di descrivere il comportamento dei buchi neri e di ipotizzare un universo aperto, senza limiti di spazio-tempo e senza una singolarità al proprio inizio. E non è male. Nel film emerge la laica caduta di Dio di fronte alla potenza della scienza (“Non è necessario invocare Dio per accendere la miccia e far partire l’universo”), così come la resistenza della ex moglie studentessa in lettere, con tanto di semiseri battibecchi a tavola; una diversità, la loro, che li ha tenuti uniti per molti anni, prima da coniugi e poi da amici. Dato che Hawking a un certo punto si innamorò e sposò la sua infermiera personale. In effetti, l’aspetto davvero notevole del film non è dato solo dalle equazioni o dalla cattedra ricoperta a Cambridge, prima appartenuta a Isaac Newton; emerge soprattutto il lato straordinario di un uomo costretto a condizioni di vita apparentemente insopportabili, ma segnato da una forma di impenitente ottimismo. Hawking teneva a questo aspetto, colse nella pellicola una buona cronaca del suo temperamento, e le fu grato. “L’intelligenza è la capacità di adattarsi ai cambiamenti”, diceva. E ciò gli bastava per definirsi fortunato, salvo poi aggiungere “a parte la terribile malattia che mi ha colpito”.
La capacità della storia di sottolineare, col minimo melodramma possibile, questa disposizione d’animo passionale, pungente e venata di humour, ne ha a ragione decretato un successo che ricorda quello di “A Beautiful Mind” di Ron Howard, un altro meraviglioso biopic del 2001 dedicato a John Nash, genio della matematica affetto da schizofrenia, padre della Teoria dei Giochi e del cosiddetto “equilibrio di Nash” (un concetto che deriva proprio dalla teoria dei giochi), che nel 1994 gli fece guadagnare il premio Nobel per l’Economia.
Photo by Elke Wetzig, CC 3.0
Photo by Elke Wetzig, CC 3.0
Due esercizi fortunati, ma meglio sarebbe dire sapienti e rispettosi, di aderenza del cinema alla biografia, per due storie eccezionali a forte rischio di cliché o di retorica. Un pericolo scampato in entrambi i casi, e non a caso apprezzato dai diretti interessati. Hawking, del resto, non amava le convenzioni. Anzi, apprezzava che le cose avessero un senso. “Ricordatevi di guardare verso le stelle e non giù verso i vostri piedi. Cercate di dare un senso a ciò che vedete e ponetevi delle domande su ciò che fa esistere l’universo. Siate curiosi. E per quanto la vita possa sembrare difficile, c’è sempre qualcosa che potete fare per farcela”.
Un messaggio che è senz’altro arrivato a destinazione. La sua “Teoria del Tutto”.