RomaFF11: Oliver Stone presenta il suo “Snowden”

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RomaFF11: Oliver Stone presenta il suo "Snowden"
RomaFF11: Oliver Stone presenta il suo “Snowden”
Dopo Tom Hanks, accolto dal Presidente Mattarella in un rendez-vous privato dentro l’Auditorium Parco della Musica come ospite d’eccezione per l’apertura della Festa del Cinema di Roma, nella seconda giornata un altro grande nome del cinema mondiale è arrivato nella capitale per presentare il suo nuovo lungometraggio: Oliver Stone.
Il regista di capolavori quali Platoon, Nato il 4 Luglio o il film d’inchiesta JFK: Un Caso Ancora Aperto ha presentato Snowden, opera che ripercorre con estrema accuratezza i fatti che hanno portato un giovanissimo analista della NSA (National Security Agency), Edward Snowden, a divenire la persona più ricercata d’America per aver diffuso informazioni di sicurezza nazionale all’opinione pubblica.
Nel primo pomeriggio il filmmaker ha incontrato la stampa in un clima sereno e amichevole, scrollandosi di dosso l’epiteto di “burbero” ingiustamente affibbiatogli. Che Oliver Stone sia un appassionato  di politica interna, utilizzando spesso toni rigidi e severi, non è una novità, ma il suo ultimo lavoro non ha risparmiato nessuno, compresa l’amministrazione Obama, complice di non aver mantenuto le promesse presentate nel programma della campagna elettorale e che la ventata di riforma alla quale sembrava aver abituato il contribuente americano in realtà si è rivelata essere fumo negli occhi.
Oliver Stone ha parlato di quanto l’opinione pubblica e la critica cinematografica statunitense si siano divise riguardo la pellicola: è innegabile che la maggior parte degli americani crede ciecamente al loro sogno, intorpidito da un consumismo o come ha precisato il regista, “da un bisogno di pensare più all’Iphone che alla più grande azione di sorveglianza di massa”.
A 70 anni compiuti il mese scorso è voluto tornare indietro negli anni, quando, da buon patriotta americano, non aveva per nulla percepito la risonanza che la guerra del Vietnam non solo avrebbe portato sulla società attuale, ma anche le motivazioni di un evento che di profondo non aveva nulla, se non interessi ben superiori che della democrazia.
Solo durante l’amministrazione Reagan, in un viaggio in Centro America, capì cosa ci fosse dietro certi eventi e ne rimase scioccato, cambiando la visione del suo amato Paese e capendo che doveva raccontarlo a chi ancora non lo vedeva.
Un altro problema che il regista ha dovuto affrontare è stata quella di trovare un produttore. Egli stesso ha ammesso in conferenza di aver trovato le porte chiuse, anzi, sigillate, e di essere dovuto venire in Europa (“grazie a Dio esiste l’Europa”, testuali parole) e aver trovato finanziatori in Germania.
In due anni e mezzo di pre-produzione ha visto Snowden 9 volte, un ragazzo brillante e non molto espansivo ma, secondo Stone, quello che stava affrontando non era la ricerca di Pokemon o l’acquisto di cataloghi online ma erano fatti ben più profondi.
L’incomprensione che ha generato il film negli Stati Uniti lo ha condotto negli anni a essere quasi additato con l’etichetta di traditore, così come lo stesso Snowden. Anche durante le riprese la noncuranza della maggior parte della popolazione è uscita allo scoperto – dice Stone – ” Molti in America e nel Mondo confondo Snowden con Assange e lo scandalo Wikileaks, qualche tempo una guardia mi disse: Fai un film su Snowden? Ma chi? La neve?” (snow=neve in inglese n.d.r.).
Anche nel caso dell’11 settembre la NSA conosceva benissimo i nomi dei terroristi, sapeva quelli che erano stati addestrati a pilotare aerei di linea, ma per una sua scelta ha deciso di non divulgare le informazioni pubblicamente. Per Stone l’intercettazione di massa, senza un filo logico, è solo una forma di controllo, la frusta del popolo per tenerlo a bada, quando invece dovrebbero essere controllate quelle persone con un profilo sospetto (stessa cosa per quello avvenuto in Giappone, Russia, Cina e addirittura Austria)
Il regista due volte premio Oscar ha voluto concludere dicendo che siamo nel bel mezzo di una “guerra cybernetica dove il ricatto rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra verso i Paesi alleati”.
Simone Sottocorno