SAN ANDREAS, la recensione

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SAN ANDREAS
Il curriculum cinematografico di Dwayne Johnson (il nome da battaglia The Rock viene ufficialmente lasciato alle spalle insieme alla carriera da wrestler) può vantare, ormai, un discreto portfolio di pellicole che lo hanno visto interpretare sia iconici uomini d’azione (Il Re Scorpione, G.I. Joe, Fast & Furious) che curiosi e divertenti personaggi in grado di portare alla luce tutta la sua voglia di mettersi in gioco e scherzare sul suo inconfondibile aspetto fisico (Southland Tales, L’Acchiappadenti). San Andreas, nuova opera del filone catastrofico firmata dal giovane Brad Peyton, che già diresse Johnson in Viaggio nell’Isola Misteriosa, appartiene alla prima di queste due categorie ma, allo stesso tempo, mette in evidenza il desiderio dell’attore di calarsi in un ruolo più drammatico rispetto a quelli interpretati fino a questo momento e, perciò, teoricamente più complesso e profondo; la realtà dei fatti è che il coraggioso pilota di elicotteri Ray Gaines, così come sua moglie Emma (Carla Cugino) e la loro figlia Blake (Alexandra Daddario), appare raramente in reale difficoltà al verificarsi degli eventi, se non nel relazionarsi con i suoi stessi cari e affrontare la morte della figlia primogenita, ma ogni sorta di evoluzione nel rapporto di coppia e di famiglia finisce comunque con l’essere banalizzata e resa eccessivamente prevedibile.
Sulla scia di un genere già percorso in lungo e in largo dall’eroe del botteghino che risponde al nome di Roland Emmerich (2012, The Day After Tomorrow, Indipendence Day), il film di Peyton ripropone una struttura e delle situazioni canoniche che, puntando unicamente sul “fattore spettacolarità”, non lasciano mai trasparire la volontà di battere strade inedite o di crearsi una propria personale identità e finiscono con il limitare l’elemento tragico alla singola famiglia protagonista. Lì dove un espediente catastrofico ideale come la possibilità di una serie di terremoti senza precedenti in prossimità della nota faglia di Sant’Andreas avrebbe meritato uno sguardo più ravvicinato alle conseguenze dell’ingente ondata di distruzione e al dramma umano riversato nelle strade californiane, il puro intrattenimento sovrasta ogni tentativo di sviare dalla semplicità di uno sviluppo narrativo in linea retta.
Eppure San Andreas arranca anche nel coinvolgere appieno e regalare allo spettatore un divertimento continuo e bilanciato. Gli ammirevoli effetti speciali, merito del team che realizzò anche Avengers: Age of Ultron, la fanno indubbiamente da padroni e rendono possibili alcune genuine ondate di ansia in sala (complice anche un 3D più che funzionale) ma, tra palazzi che crollano nei modi più disparati e colossali tsunami pronti a divorare l’intera città di San Francisco (la ricerca in motoscafo nel cimitero di detriti sommersi è sicuramente una delle sequenze meglio riuscite), la pellicola è, purtroppo, ricca di momenti privi di una qualche utilità narrativa, come ad esempio l’egoistica – seppur realistica – epopea del personaggio interpretato da Ioan Gruffudd, e di un’eccessiva dose di ironia involontaria che poco si addice all’ipotetica atmosfera dello scenario catastrofico in cui la pellicola di Peyton vorrebbe farci immergere.
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