Buongiorno Asia! Come, quando e con quali film nasce la tua grande passione per il cinema?
Guardandomi indietro sono consapevole che il primo germoglio sia nato grazie a mio padre che mi portava al cinema una volta a settimana circa, dall’età di 6 anni per tutto il periodo delle elementari e medie, ma anche oltre. Abbiamo sempre avuto questa giornata in comune dove, dopo la scuola, si andava in sala insieme a guardare un film. E non si trattava sempre e solo di quelli adatti ai bambini, anzi. Devo a lui il fascino che ad oggi ho anche per gli horror ad esempio. In altre giornate lui aveva comunque l’abitudine di noleggiare dei film che guardavamo poi a casa. La mia parte preferita era quando mi mostrava il dietro le quinte nella sezione contenuti speciali. Era il bello dei dvd. Mi ricordo ad esempio quando guardammo tutta la realizzazione delle maschere di Blade, perché a me un po’ spaventavano. E almeno così mi resi conto che erano finte! Un vero interesse attivo (nel senso di scegliere io cosa andare a vedere al cinema) è subentrato dai dodici anni in su. Perciò è sempre stata una costante per me, che si è evoluta poi nella passione per la recitazione. Passando per il teatro, sono approdata a corsi su come recitare di fronte a quel mezzo magico che è l’occhio della telecamera. E credo sarà sempre un punto fermo Nella e Della mia Vita.
Un’altra tua grande passione è il teatro. Hai voglia di parlarcene?
Ho iniziato all’età di 12 anni, questa volta grazie a mia madre. I primi corsi sono stati elettrizzanti. Poi all’età di 15 le ho chiesto di potermi iscrivere ad una compagnia di teatro classico a Ravenna che debuttava con spettacoli in costume. Mi affascinava tantissimo quel mondo. Lei ha chiamato la regista nonché l’insegnante, Alessandra Casanova e, da lì in poi, è iniziata la mia formazione e la sana abitudine di andare in scena almeno due volte l’anno. Prima di allora a Teatro mi ci aveva giusto portato la Scuola. Con la classe magari si andava a vedere qualcosa di istruttivo e ricordo chiaramente che mi rimanesse impresso come gli attori si esprimessero e raccontassero anche argomenti difficili che io associavo solo allo “scolastico” in quel periodo. Come raccontare la Seconda Guerra Mondiale ad esempio per dirne uno.
Poi non mi sono più fermata se non il tempo di dare l’esame di Stato. Ho ripreso direttamente iscrivendomi ad un’Accademia di formazione a Bologna, la Scuola di Teatro Colli, acquisendo un metodo e orientandomi a volerlo farlo diventare il mio mestiere in tutto e per tutto. Ad oggi la Colli è diventata la mia casa, non solo per le tantissime produzioni portate in scena con la regia del Direttore Artistico, nonchè mio Maestro, Emanuele Montagna, ma anche per la neonata Colli Formazione Attori di cui sono diventata Vicepresidente ( presidente è Martina Valentini Marinaz, anche lei ex allieva della Scuola e mia collega talentuosissima con la quale ho recitato anche nella Compagnia del teatro Dehon di Bologna).
Tornando al cinema, e parlando in particolare di cortometraggi, il tuo esordio, correggimi se sbaglio, avviene nel 2019 con il corto “Cose da fare oggi” di Cosma Bassi…
Hai perfettamente ragione! Il regista, Cosma Bassi appunto, cercava due protagonisti che interpretassero una coppia per questo tete a tete casalingo ma dai risvolti macabri. Un’operazione molto interessante che mi fece toccare con mano cosa significassero i tempi di preparazione, sia per la location che per il posizionamento camera, ecc. Da un lato mi sentivo in una sorta di tempo teatrale senza stacchi, dovuto al piano sequenza iniziale fino al primo piano del protagonista maschile (Riccardo Sarti). Si passava poi ai primi piani con effetto soggettiva. Il risultato è stato un interessante split screen. Ricordo in particolare che la camera mi doveva seguire durante questa agghiacciante risata di scherno, fino a quando, guardando in camera, non cambiavo espressione. Mi porto un bellissimo ricordo di quel lavoro, e anche un raffreddore post riprese perché sul set mi dovevano tenere sempre i capelli bagnati!
Due anni dopo, con il corto drammatico “Uruguay” di Andrea Simonella, ricopri un ruolo molto difficile ed intenso per un’attrice…
Il primo provino infatti non fu decisivo. Lo ricorda spesso anche Andrea, che mi volle rivedere cercando di lavorare sulle mie fragilità. Essendo cresciuta un pò corazzata, devo ammettere che quel giorno ho capito cosa significhi mettere a disposizione del personaggio le proprie vulnerabilità. Le sarò sempre grata per questo. Quella settimana circa di riprese ha fatto da spartiacque tra un prima e un dopo e con Andrea è nato un sodalizio artistico, ma in primis di stima reciproca. Portare tematiche così audaci e affrontarle in modo così diretto ti mette di fronte a delle scelte non facili Lei è arrivata sino in fondo.
Rapportarsi al clima del set, così concentrato e meticoloso, la location dell’ospedale, tutto raccontava “stiamo trattando qualcosa di delicato” e quindi lo spazio tra i sorrisi e la serietà della concentrazione tra un ciak e l’altro era sottile.

Negli anni successivi lavori di nuovo in un corto di Simonella, “Lontanìa”. Come andò in quell’occasione?
Lontanìa ha toccato in parte un lato di esperienza personale seppure con sfumature diverse perché la tematica trattata è quella di una separazione genitoriale, ma dal punto di vista di una bambina. Ho interpretato la protagonista da adulta , che è anche voce narrante. Sono molto vicina ad Andrea sulla tematica del dolore, volto però ad un riscatto di Vita, che trasforma la sofferenza in crescita.
Le riprese delle scene finali mi hanno portata a Grado, una ambientazione unica. Non c’ero mai stata. Ammetto che il lato esplorativo del territorio italiano per finalità come quella del cinema o spostamenti per tournée teatrali, sono un valore aggiunto che si unisce ad una mia altra grande passione: viaggiare. E quando sono a casa dopo un po’ mi manca.
Lontanìa stessa è un termine che rimanda ad un richiamo nostalgico di lontani orizzonti e di infinito, come una saudade portoghese/brasiliana.
Nel 2023 è il momento del corto “La chitarra” di Marco Vernizzi e Matteo Pasquon. Ce ne puoi parlare?
Con piacere! La Chitarra nasce come cortometraggio di fine corso di Regia e Sceneggiatura con CS Cinema a Milano. È stata la mia prima esperienza di adattamento di un soggetto non mio a sceneggiatura e anche la prima volta come segretaria di edizione in fase di riprese. Ho potuto mettere mano alla parte artigianale dell’opera filmica, dietro la macchina da presa. Ammetto che mi ha aperto numerose idee per il futuro, un sentiero utilissimo per proseguire in questo settore, dove ogni ruolo è supportato dal lavoro degli altri. Un vero e proprio lavoro di squadra.
In “Selfie”, bellissimo corto horror di Giulio Manicardi (che sta vincendo premi nei festival di tutto il mondo) confermi, a parere del sottoscritto, in modo inequivocabile, le tue doti di grande attrice, in una parte per nulla facile. Che genere di esperienza è stata?
Oddio, ti ringrazio tantissimo. Mi ci sono tuffata a capofitto in quanto la trama di per sé mi ha catapultata in quello che mi piace ormai definire genere “Black Mirror”, e su questo Giulio ci ha visto lungo. L’aspetto horror non è dato tanto dalla mostruosità in sé quanto tale, quanto piuttosto dalla paura che ciò che viene mostrato si verifichi perché, purtroppo, plausibile. In un mondo che mette in costante confronto (prevalentemente femminile, ma anche maschile!) il corpo, l’immagine, la celebrità, arrivare a perdere se stessi è un attimo. La paura di non poter poi tornare indietro e rimediare “al danno”, diventa una conseguenza da cui non si scappa. Questo rende “horrorifica” tutta la vicenda. La stessa inquietudine generata dal vicinissimo parallelismo con il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, perché dopotutto bramare la “perfezione” è un “difetto” umano, perciò ne temiamo le conseguenze. Ringrazierò sempre il regista Giulio Manicardi e il produttore Alessandro Leo (Aleo Film) per avermi voluta in quest’ opera perché anche qui, come in Uruguay, seppure per aspetti diversi , ho dovuto recuperare e mettere in mostra a fini narrativi, le mie fragilità personali. Siamo tanto abituati a nascondere tutto questo per autodifesa. E invece il mestiere dell’attore ti mette davanti alla responsabilità di farne veicolo d’espressione. È bellissimo. Ma è anche tosta.
Eri anche nel cast del bell’horror di Daniele Misischia, “Il mostro della cripta”?
Eh si! Sei informatissimo! Quanto mi sono divertita! Il mio primo piccolo ruolo in un lungometraggio, da cui tutto mi aspettavo tranne di finire a parlare con accento emiliano-romagnolo calcando pure la mano!! Mi hanno vestita anni 80 e rincorso con un’accetta, tutto nella norma! Mi piacerebbe poter lavorare ancora con Daniele, fu un giorno solo in quella occasione, ma ricordo che apprezzai tanto il suo modo di porsi, di gestire la scena e in generale come tutti hanno lavorato. Inoltre mi è piaciuto il suo primo film e spero realizzi altre opere del genere!
Cosa ci puoi dire della tua partecipazione ai due lungometraggi “Samad” e “Mariana’s Web” del 2022?
Samad, riprese poco dopo il periodo del primo covid, i set erano continui controlli fra tamponi e mascherine. Ricordo che non mi sembrava vero di essere su un set del genere interpretando un personaggio tanto lontano da me: una giovanissima mamma tossica che non vuole fare più vedere il figlio al padre che è in carcere. Mi fecero i capelli rossi rossi in quell’occasione. Andai a fare una prova delle mie scene prima delle riprese, subito catapultata in una scena ravvicinatissima, con uno dei protagonisti. Tutti bravissimi e professionali. Il film è uno spaccato davvero interessante di una realtà estranea ai più: il carcere. Ma non voglio spoilerare nulla per coloro che ne saranno incuriositi.
Mariana’s Web è invece stata la mia prima occasione di interpretare un ruolo ricorrente in un lungometraggio in lingua inglese! E la mia prima volta in Abruzzo, regione sorprendente (in quel periodo in particolare per il freddo!)
Anche questo film, come Selfie, ruota attorno alla tecnologia e alla sua degenerazione, sebbene qui sia in netta opposizione col panorama rurale e con i ritmi del sud Italia. Forse per questo è molto forte l’effetto contrasto con l’ambientazione della seconda parte del film, nelle Filippine. È in uscita, quindi non posso spoilerare troppo. Diciamo che Adelaide, il mio personaggio (per il quale il regista Marco Calvise mi ha fatto lavorare sull’espressività e lo sguardo) è una ragazza innamorata e con un obiettivo. Se poi riuscirà a perseguirlo, bisognerà scoprirlo…
Hai partecipato anche ad una serie tv, “Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso”…
Si..! La cosa “buffa” (e senza dubbio soddisfacente!) è stata il ruolo interpretato: L’attrice sul palco!
Nella prima stagione infatti il figlio di Malinconico (Massimiliano Gallo), Alfredo (Francesco Cavallo) , allestisce uno spettacolo teatrale da lui scritto e per questa occasione ho interpretato l’attrice di teatro! Nella seconda stagione (da poco uscita sulla Rai) Alfredo utilizza gli stessi attori per un cortometraggio, e anche qui conserva gli stessi interpreti ( io e Angelo Galdi).
Devo dire col sorriso che in questo caso è stato proprio calzante!

Molto bella anche la tua partecipazione allo spot pubblicitario della Certosa di Ferrara. Com’è stato lavorare, seppur in uno spot, con un grande regista del cinema indie horror italiano come Ivan Zuccon?
Conoscere Ivan mi ha aperto un mondo. Da quella occasione (che ricorderò sempre) è partito poi Uruguay e tutto il resto. Ivan non ha solo una tecnica meticolosa e attenta sul set, ma anche una sensibilità spiccata verso gli attori.
Con quello spot in particolare si è realizzato un primo importante step del mio sogno di fare qualcosa in costume storico vedendomi traslitterata in varie epoche! Con Ivan ci siamo rivisti su altri due set (Uruguay prima e La Chitarra in seguito) e osservarlo lavorare e ideare, trasmette serenità e ispira molta fiducia. Si prende i suoi tempi, perché le cose le vuole fare fatte bene. Un tratto distintivo delle sue riprese è far montare un carrello con i binari a terra così che la camera segua fluida l’attore durante una camminata. E Ivan è anche un ottimo insegnante di regia (con cui a CS Cinema ho approfondito la materia) e bravissimo montatore degli ultimi film di Pupi Avati.
Spero davvero di poter partecipare ad uno dei suoi horror in futuro. Dopotutto è un genere a cui sono molto affezionata!
Hai vinto e stai vincendo un bel po’ di premi sia come attrice di teatro che di cinema. Hai mai pensato di provare come regista, passando dall’altro lato della macchina da presa?
Ecco, prima del corso di Regia e Sceneggiatura non ci avevo pensato, devo essere sincera. Ora sto maturando diverse esperienze e visioni nuove. Diciamo che mi sentirei pronta e carica per una regia teatrale, quello si. E ho in mente già due progetti che nel tempo mi piacerebbe realizzare. Per il cinema, prima di passare dall’altra parte della macchina da presa, ho bisogno di prendere parte ancora ad altri set, e di sempre più importanti. Rubando e osservando si impara. I semi piantati in questi anni vanno nutriti!
Hai partecipato a molti film horror. Ti piace il genere? Se si, quali sono i tuoi film preferiti?
Come ho già svelato, si, mi piacciono!! Dopo Trading Shadows, episodio pilota di una serie in cui ho interpretato una ragazzina posseduta, ha preso il via il mio prestarmi al genere. Al cinema ne ho visti tanti in adolescenza di horror, eppure vado a vederne sempre meno adesso, perché mi fanno più sorridere che paura. Sarà deformazione, sarà che una volta appresi i meccanismi ti rendi conto che la vera paura è più dovuta all’inaspettato , da ciò che è inatteso, anziché dal sangue e dai jump scare. Ma questo lo dico da spettatrice, eh! Perché da attrice…è troppo divertente realizzarli!! Tra i film che prediligo ci sono quelli più inquietanti a livello psicologico che splatter.
In generale quali sono i film e le serie tv che ami di più, i tuoi cult personali?
Che domanda difficile!! Citarne alcuni toglierebbe prestigio a tutti gli altri che mi ronzano in testa! Allora, apripista al mio amore per i film in costume è stato Anna Karenina (2012) di Joe Wright, con Keira Knightley, perché al suo interno ha anche una buona dose di teatro! Uno dei miei film preferiti che cito con certezza è The Dreamers di Bertolucci. Non solo perché parla della passione per il cinema che coinvolge i tre protagonisti, ma anche per come viene affrontato lo stesso loro rapporto fuori dagli schemi sociali. Poi mi vengono in mente i film con Eddie Redmayne, grandissimo interprete de La Teoria del Tutto (2014), The Danish Girl (2015), I Pilastri della Terra (serie 2010). Trovo che anche ciò che viene considerato scomodo sia degno di nota. Film più irriverenti come La Casa di Jack (2018) di Lars Von Trier, perché mette in scena argomenti tabù dell’horror, accostandolo ad un percorso intellettivo-culturale per nulla scontato. Andando più indietro, per me sono stati molto dissacranti i film di Almodovar, mostrandomi un lato di ciò che è narrabile sullo schermo che prima dei 19 anni ancora non avevo contemplato. Da quell’età ho poi scoperto i classici di Stanley Kubrick, unico nel suo genere anche per i tanti messaggi “nascosti” nelle sue opere e per il suo essere così visionario! Ricordo poi i divertenti ma inquietanti film di Tim Burton. Con Edward Mani di Forbice mi ha, fin dalla primissima adolescenza, fatta sentire vulnerabile verso il concetto di ingiustizia. Un film che mi ha segnata è stato Eternal Sunshine of Spotless Mind (mi rifiuto di citare il titolo italiano!) perchè l’argomento “ricordi” è un patrimonio troppo caro e questa pellicola lo affronta di pancia, lasciandoti un’amara consapevolezza. Con l’avvento delle serie tv ho scoperto che quando una storia è scritta davvero bene, importa poco “il genere” che prediligi. Serie come Peaky Blinders o La Casa di Carta per il loro tipo di trama non credevo mi sarebbero piaciute e invece la loro realizzazione è talmente impeccabile che ti ci ritrovi avviluppato. Mi piacciono quelle storie lontane dal mio quotidiano. Come ad esempio, i fantasy. La primissima serie che ho seguito assiduamente è stata Il Trono di Spade, fu il mio migliore amico a 16 anni a consigliarmela ed era un vero e proprio appuntamento. Ricordo l’adrenalina prima dell’uscita di ogni stagione! Ad oggi ho trovato particolarmente coinvolgenti e commoventi due serie poco conosciute ma che vorrei segnalare: This is Going to Hurt, con uno straordinario Ben Whishaw (un medical inglese toccante e tragicomico) su Disney Plus e Il Molo Rosso (El embarcadero), prodotta in Spagna, visibile su Rai Play. Ultima non per importanza, Black Mirror, serie inglese che tratta un futuro prossimo e più che mai attuale in cui la Tecnologia ha il sopravvento e ne mostra gli effetti indesiderati. Non si può purtroppo più dire che sia definibile come “distopico” a mio parere. Registi peculiari che mi incuriosiscono ad oggi sono Yorgos Lanthimos (per le tematiche trattate e il livello di disturbo positivo che provo quando le vedo affrontate in quel modo) e Wes Anderson (per la sua maniacalità nelle simmetrie e colori). Tra i registi italiani che negli ultimi anni mi stanno prendendo ci sono innanzitutto Sorrentino (con Partenope mi ha letteralmente rapita, sempre per il concetto dei ricordi e del tempo), e poi cito Tornatore per la delicatezza del mondo emotivo che si porta dentro quando fa regia. E’ una risposta lunga lo so, e non avrei neanche finito, ma passerei oltre…

Ti piace leggere? Se si, quali sono i 3 libri che ti porteresti nella classica isola deserta?
Aiuto, questa è ANCORA più difficile!
Intanto, assolutamente sì, mi piace leggere. E da quando presto la mia voce per gli audiolibri ho scoperto quanto sia bello intraprendere letture che in primis magari scarteresti, trame che non sceglierei diciamo. C’è sempre qualcosa che lungo la storia ti cattura, laddove non avresti creduto.
Se la domanda riguarda un’isola deserta, per essere coerente (o forse furba!!) dovrei rispondere che porterei un manuale di sopravvivenza!! E gli altri due libri sarebbero carta straccia per fare il fuoco!!
Scherzi a parte, ci sono dei libri che mi sono rimasti impressi (ad esempio Il Mondo di Ieri di Zweig) ma non credo lo selezionerei tra i libri da portarmi dietro su di un’isola. Piuttosto un diario vuoto per scriverci sopra. Quello sì . I libri che mi sono tanto piaciuti sono quelli a cui con il tempo tornerei per rendermi conto negli anni se qualcosa è cambiato, se ci vedrei qualcosa di nuovo dentro.
Cosa ne pensi del cinema indie italiano attuale?
Sinceramente? Credo che il cinema indipendente sia dove guardare al futuro, e sono pienamente convinta che abbia tanto potenziale. Ovviamente come in tutte le cose esistono le cadute di stile, le leggerezze, ma anche quelle fanno parte del bagaglio d’esperienza dei registi che vanno formandosi. È raro partire subito a spron battuto con la mega produzione che ti finanzia. È bello invece andare a scovare nei festival del cinema indipendente delle perle nascoste. È un consiglio che darei in generale a chi crede che il Cinema con la C maiuscola sia solo quello nei circuiti delle sale ufficiali.
Quali sono i tuoi gusti in fatto di musica?
Vado molto in base ai momenti e all’umore. Mi piace in genere per svagarmi il rock alternativo (indie e folk rock, ma anche il rock che vira al blues) ma ascolto spesso anche pop alternativo. Cantautorato italiano quando ho voglia di interiorizzare concetti profondi. Se ho voglia di ballare, musica celtica (perché letteralmente non mi fa stare ferma, i piedi si muovono da soli!).
Mi piace tanto ascoltare cose nuove e sono aperta a diversi stimoli, anche di generi che magari non ascolto solitamente.
Progetti cinematografici futuri in cantiere?
In uscita nei prossimi mesi un altro cortometraggio horror, questa volta sulla coulrofobia (paura dei clown): “Fabiana” (regia di Piero Calvarese, prodotto da Panama Multimedia Production) che ha segnato un mio ritorno in Abruzzo (dopo Mariana’s Web!). Questa estate invece prenderanno il via le riprese del mio primo lungometraggio come protagonista: “La Filanda”, che gireremo nella terra dei miei nonni paterni e a cui sono molto legata, Modigliana. Interpreto Giorgia, una giovane che ripercorrerà i ricordi della bisnonna tramite alcuni fogli ritrovati , che narrano il lavoro all’interno della filanda (a Modigliana ce ne era una molto grande), un lavoro duro e che a livello cinematografico è stato approfondito solo in rari casi di film in bianco e nero del passato. La regia è di Costantino Maiani e ha il patrocinio del comune di Forlì e Modigliana. Il film sarà anche un prezioso tributo ai territori da cui provengo.
Hai voglia di salutare in qualche modo i tuoi fans ed i lettori di CineAvatar?
Nutritevi, nutritevi sempre delle vostre passioni, leggete, guardate film, e grazie per chi si è soffermato a leggere questa intervista pur senza conoscermi! Spero di avere suscitato la vostra curiosità ! Ciaoooo!