Buongiorno Giacomo! Partiamo subito “a bomba”! Raccontaci a ruota libera della tua, anzi della vostra splendida creatura, Sugarpulp…

Ciao Max, grazie mille per l’ospitalità e un saluto a tutti i lettori. Sugarpulp nasce nel 2009 come movimento letterario. A fondarlo sono gli scrittori padovani Matteo Strukul e Matteo Righetto che hanno scritto il manifesto, aperto il sito sugarpulp.it e iniziato ad organizzare i primi eventi. Io sono entrato nel gruppo poco dopo la sua fondazione: ero rientrato Padova dopo una lunga parentesi a Milano e stavo riallacciando rapporti e contatti. Conoscevo Matteo Righetto dai tempi dell’Università, mentre con Matteo Strukul ci conoscevamo di vista dato che siamo cresciuti nello stesso quartiere. Quello che era un movimento letterario poi nel corso degli anni si è trasformato poi in un’Associazione Culturale (di cui sono membro fondatore e presidente fin dal 2010). Negli anni Sugarpulp è diventato tante cose:

un magazine online che è riuscito a farsi accreditare con regolarità ai più importanti festival internazionali (da Cannes a Venezia, dal Transylvania International Film Festival a Lucca Comics, solo per citare i primi che mi vengono in mente);
un’associazione che crea e organizza festival ed eventi culturali in tutta Italia; i prossimi in calendario saranno CHRONICAE – Festival Internazionale del Romanzo Storico (Piove di Sacco, 20-23 marzo, XI edizione, e poi Brividi a KM0 a Roma dal 3 al 5 aprile (III edizione);
una factory creativa che produce contenuti per i social (ma non solo).

Diciamo che oggi Sugarpulp è una community di professionisti e di appassionati specializzati nell’ideazione, nella produzione e nella gestione di eventi ad alto impatto culturale. Negli anni abbiamo collaborato a più livelli con enti di ogni tipo (abbiamo organizzato anche un workshop a Nairobi in collaborazione con la Farnesina!). Oltre al sottoscritto i punti fermi di Sugarpulp sono Matteo Strukul (direttore artistico), Silvia Gorgi (vicepresidente) e Andrea Andreetta (vulcano creativo). Poi ci sono tantissime persone che collaborano o che hanno collaborato a vario titolo con l’Associazione ma è davvero impossibile citarle tutte!

intervista Giacomo Brunoro
Intervista a Giacomo Brunoro

Nella tua esperienza professionale di autore, hai lavorato tantissimo per le radio, radio importanti a livello nazionale. Hai voglia di parlarci di queste esperienze?

La Radio è stata il primo grande amore professionale della mia vita. Sono convinto che chiunque abbia fatto radio sappia bene di cosa sto parlando perché davvero non c’è niente come la radio. Io ho iniziato in maniera decisamente atipica (ma questa è sempre stata un po’ la mia caratteristica, non ho ancora capito perché). Dopo l’università avevo iniziato a lavorare come schiavo tuttofare in  Push Pull, società di radioproduzioni padovana. Ero l’ultimo arrivato e facevo un po’ di tutto, dai testi degli oroscopi dei maghi a quelli delle pubblicità, dai testi di mini programma radio a quelli dei telegrammi precompilati che si potevano comprare sul primo sito di Poste Italiane (ogni tanto vado ancora a controllare, ci sono ancora i miei testi), ma anche lavori di facchinaggio vario. Insomma, tutto. Push Pull era una realtà padovana, ma il vero centro operativo era a Milano (parliamo della società che ha prodotto il programma rivoluzionario della Gialappa’s ai tempi di Italia ’90, per capirsi). Per una serie di giri che neanche ti sto a dire il CEO di Push Pull, Marcello Pozza (che era stato peraltro uno degli storici speaker di Radio Padova), diventa il direttore artistico di Radio Kiss Kiss Network. Kiss Kiss, storico network napoletano, attraversava un periodo di crisi e la concessionaria Radio e Reti spingeva per il rilancio, così li ha convinti ad aprire dei nuovi studi a Milano e a scegliere Pozza come direttore artistico. Marcello mi propose di andare a Milano per seguire il progetto (sempre in veste di schiavo tuttofare, che te lo dico a fare). Ovviamente non aveva ancora finito di chiedermelo che ero già corso a casa fare le valigie.

La mia esperienza è iniziata così, letteralmente da ultima ruota del carro in un gruppo di autori e speaker straordinari che mi hanno insegnato tantissimo. Quella fu una factory creativa pazzesca perché a quel progetto collaborarono alcuni dei migliori autori radio e tv dell’epoca, soprattutto nell’estate del 2001. Per me fu un’esperienza pazzesca. Un paio d’anni dopo cambiò la direzione ma io rimasi a Kiss Kiss, di lì passai poi a Radio Italia Network, Play Radio e infine a Radio Deejay… Ci sarebbe molte storie da raccontare ma non voglio annoiare troppo i vostri lettori.

Come autore hai lavorato per LA7 con Gene Gnocchi. Come andò in quell’occasione?

Questa è stata un’esperienza un po’ bizzarra. Anche quella volta, come in tutti i lavori di questo tipo, la proposta fu del tutto inaspettata. Conoscevo da tanto tempo uno degli autori storici di Gene Gnocchi (avevamo lavorato insieme a Play Radio), che a un certo punto mi chiede di provare a scrivere qualcosa per Gene. All’epoca Gene Gnocchi stava spaccando con il suo spazio all’interno del programma di Floris su La7 e avevo bisogno di tante idee. E così in occasione di un suo spettacolo a Padova lo incontrai, trovammo un accordo e partimmo. Lui lavorava così: gli dovevi mandare i testi via whatsapp un paio di giorni prima della diretta, poi lui ci lavorava con i suoi autori più stretti e tu soltanto in diretta scoprivi se aveva usato i tuoi testi oppure no (ovviamente aveva diversi autori che lavoravano per lui). L’esperienza non durò tantissimo, un anno più o meno, perché ho personalmente per dare il meglio ho bisogno di sentire un progetto più mio, di lavorarci a più stretto contatto con le persone. Però è stata un’altra esperienza molto istruttiva e anche divertente.

intervista Giacomo Brunoro
Intervista a Giacomo Brunoro

Dal 2010 sei direttore editoriale di LA CASE Books, casa editrice californiana. Ce ne puoi parlare?

Questa è un’idea folle che io e Jacopo Pezzan, mio compagno di classe ai tempi del ginnasio, abbiamo messo su in maniera un po’ scriteriata. All’epoca Jacopo si era appena trasferito a Los Angeles mentre io ero appena tornato a Padova. Un giorno lui mi fa: “Ma perché non iniziamo a produrre audiolibri?”. Io lavoravo già nel settore da diversi anni grazie alla collaborazione con GOODmood audiolibri, una delle primissime case editrici italiane specializzate nel settore. Abbiamo unito le nostre competenze e abbiamo iniziato a pubblicare eBook e audiolibri. All’inizio avevamo un catalogo molto limitato dato che facevamo tutto noi (scrittura, linea editoriale, grafiche, editing, amministrazione, contrattualistica). Per quanto riguarda le voci abbiamo utilizzato invece una serie di speaker professionisti sfruttando i contatti che avevo creato in tanti anni di lavoro nelle radio. A ripensarci adesso è stata un po’ una pazzia, però ha funzionato, nel senso che abbiamo anticipato quasi tutti e siamo riusciti ad ottenere risultati importanti, all’inizio sopratutto con gli eBook, oggi più con gli audiolibri. Con il passare degli anni ci siamo strutturati di più ovviamente, ma abbiamo sempre mantenuto il nostro DNA di sperimentatori. Ad oggi abbiamo pubblicato più di 2.000 titoli in 8 lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, polacco, russo, portoghese e spagnolo). Dal 2020 pubblichiamo anche in cartaceo grazie al print on demand e restiamo fedeli alla nostra linea ultrapop: scelte editoriali spesso bizzare ma coerenti. Abbiamo provato a pubblicare di tutto prima di tutti, dagli eComics ai documentari audio, dagli eBook multimediali a qualsiasi cosa ti venga in mente. Molte volte abbiamo toppato, sia chiaro, e se mi guardo indietro vedo tantissimi errori che forse oggi non rifarei. Però abbiamo avuto la testa dura e ogni volta che ci veniva un’idea la risposta era sempre la stessa: “Ma perché non si può fare? Proviamoci”. Idem quando non sapevamo come si faceva qualcosa: ci mettevamo a studiare per capire come farla. Certo, non si contano gli errori fatti negli anni, ma non c’è altro modo per imparare e andare avanti. Abbiamo pubblicato autori e autrici italiani, statunitensi, inglesi, svizzeri, kenyoti… abbiamo fatto esordire autori e autrici che oggi sono voci affermate nel panorama editoriale italiano come Emanuel Mian, che ha esordito con MindFoodNess con noi nel 2017 e in questi giorni ha firmato con Feltrinelli; Laura Orsolini che ha esordito con noi e che oggi è un’autrice affermata nel mondo della letteratura per ragazzi; Carlo Callegari che ha esordito con noi e che poi è passato a Fanucci e che è arrivato addirittura al cinema con la storia che avevamo pubblicato… Insomma qualche bella soddisfazione ce la siamo tolta. Oggi restiamo una casa editrice indipendente, sia chiaro, però ci tengo moltissimo a sottolineare un particolare che non è affatto banale nel mondo editoriale: LA CASE Books ha sempre pagato tutti i suoi collaboratori e non ha debiti. È un progetto indipendente ma sostenibile che ci ha regalato tantissime soddisfazioni. Parliamo di titoli al top delle classifiche digitali di mezzo mondo, articoli su Repubblica, Corriere della Sera, USA Today, Wolrd Business Entertainment e tantissimi altri giornali e web magazine. Insomma, ci divertiamo e diciamo la nostra in maniera completamente indipendente.

Siamo molto curiosi di sapere qualcosa di più anche del frizzantissimo podcast che conduci con Jacopo Pezzan, “True Crime Diaries”!

Il podcast nasce un po’ dalla logorrea mia e di Jacopo, un po’ dal fatto che conosciamo il mondo audio da vent’anni ormai, e un po’ perché abbiamo pensato che fosse il modo migliore per promuovere i nostri libri e audiolibri creando un contenuto che non fosse di pura vendita. Provo a spiegarmi: da sempre io e Jacopo ci occupiamo di True Crime (i nostri audiolibri sul caso del Mostro di Firenze e sul caso di Emanuela Orlandi sono stati i primi due audiolibri a tema true crime pubblicati in italiano). Siamo sempre stati convinti che l’adv classica fosse qualcosa di superato o, comunque, di poco praticabile per realtà indipendenti come la nostra. Abbiamo così deciso di creare un podcast che approfondisse quegli argomenti per promuovere in maniera indiretta i nostri prodotti editoriali. Siamo partiti soltanto con l’audio e poi da un paio di anni siamo passati al video, anche se il podcast video è “decente” soltanto da quest’estate. Anche qui siamo andati avanti in maniera assolutamente sperimentale, un passo alla volta e commettendo una serie di errori infinita. Però ci siamo divertiti un casino, abbiamo stretto tantissimi contatti, abbiamo imparato molto e oggi ci ritroviamo con un prodotto che ha un ottimo seguito su Spotify e che su YouTube sta crescendo in maniera costante.

Sei un professionista molto poliedrico: sei stato anche consigliere di Veneto Film Commission…

Anche a questo incarico sono arrivato in maniera un po’ casuale. Ho risposto alla domanda pubblica inviando il cv e sono stato nominato membro del CDA (lo so che state pensando male ma no, non ho mai avuto nessuna tessera di partito). In Veneto non esisteva la Film Commission e così siamo dovuti partire da zero. Siamo stati nominati a febbraio 2019 e un anno dopo il Covid ha fatto saltare in aria il mondo intero. Però sono orgoglioso del lavoro fatto insieme a tutto il team: Jacopo Chessa, il direttore che abbiamo scelto per la Film Commission, oggi è il direttore dell’Italian Film Commission. Oggi poi il Veneto è una regione che “esiste” in termini cinematografici anche grazie al lavoro della Film Commission, nonostante le enormi criticità delle burocrazia che neanche ti sto a raccontare (per chi viene dal privato è molto difficile confrontarsi con il settore pubblico). Io e gli altri consiglieri siamo rimasti in carica 4 anni e poi come da statuto sono stati nominati altri 4 consiglieri (del precedente CDA è rimasto soltanto il Presidente Luigi Bacialli). Ci tengo a precisare una cosa, visto che negli anni ne ho sentite di tutti i colori: il ruolo di membro del CDA non è retribuito. Per dire, la prima trasfera a Cannes me la sono pagata con i miei soldi. Anche per quanto riguarda i rimborsi spese noi consiglieri siamo stati decisamente contenuti se pensi che da febbraio 2019 a maggio 2023 il CDA è costato in tutto 10.154 euro.

Hai lavorato anche per “Controcampo”! Raccontaci tutto!

Quella di Controcampo è stata un’esperienza bizzarra perché il Controcampo a cui ho lavorato io era la rivista ufficiale del programma televisivo. L’editore ovviamente era Mediaset (o una delle tante scatole del gruppo). Era un settimanale sportivo che usciva al lunedì e che è durato un paio d’anni. Il giornale parlava quasi esclusivamente di calcio e fu un esperimento che naufragò presto perché i numeri in edicola erano quello che erano. Io c’ho lavorato soltanto un anno. L’idea del magazine all’inglese non era male, ma ormai il programma Tv iniziava la sua fase di declino, oltre al fatto che il mercato della carta stampa è da sempre un mercato complicatissimo. Anche questa è stata un palestra niente male.

CineAvatar è un sito di appassionati e fanatici di cinema, curiosi di sapere dei tuoi gusti in fatto di cinema e di generi cinematografici. Quali sono i tuoi cult preferiti?

Qui potremmo perdere davvero delle ore visto che mi hai fatto la classica domanda impossibile. Se penso a una lista dei “miei” film di sicuro ci sono il Rocky Horror, i Blues Brothers, Apocalypse Now, Il Padrino, Un mercoledì da leoni (forse il film che ho visto più volte in assoluto insieme a Il Cacciatore), Blade Runner, Barry Lyndon, Mulholland Drive (e tutto Lynch in generale), Cronenberg, Unbreakable, tutti i Mad Max… Ma anche Pulp Fiction, Fracchia la Belva umana e i primi tre Fantozzi, tutti i film di Bud Spencer & Terence Hill, i vecchi film della Pantera Rosa con Peter Sellers che guardavo insieme a mio padre da piccolo. E poi la fase eroica della prima trilogia di Salvatores che ha segnato la mia adolescenza.  Ma anche il cinema spagnolo (da Amenabar a Santiago Seguro passando per Alex De La Iglesia) che ho scoperto quando ero in Erasmus e che è intimamente legato a una parte bellissima della mia vita. Insomma, sono uno spettatore bulimico e che al cinema ragiona col cuore. Per dire, uno dei miei film a cui voglio più bene in assoluto è Thor Ragnarok, con buona pace degli intenditori e dei critici. Poi la lista cambia sempre, l’unico film che non può mai mancare in una lista di questo tipo è Aliens – Scontro finale.

intervista Giacomo Brunoro
Intervista a Giacomo Brunoro

Tra i lettori di CineAvatar ci sono molti amanti del cinema horror. Ti piace il genere? Se si, quali sono gli horror che ami di più?

Non sono un esperto del genere, potrei definirmi un turista dell’horror. Come tutte le persone cresciute negli anni 80 (io sono del ’76) ho dei punti fissi in testa: Shining, Freddy Krueger, Jason e compagnia… Se devo essere sincero però mi interessa poco il genere, mi è capitato di andare a vedere film e di scoprire dopo che erano considerati horror. Tra gli horror che ho adorato ci sono Hellraiser e Cabal (non ricordo il titolo originale inglese) di Clive Barker, autore geniale e grandissimo nel bene e nel male che non è mai riuscito a fare il salto di qualità definitivo (o non ha mai voluto?).

Parlando di serie tv, quali sono le tue preferite?

Devo ammettere che ultimamente ne guardo poche. Credo però che Breaking Bad e Games of Thrones siano davvero insuperabili.

Cosa pensi dell’attuale situazione del cinema italiano?

Questa è una domanda molto scivolosa. Non si può parlare di cinema italiano senza tener conto che il “prodotto cinema”, inteso come esperienza all’interno di una sala cinematografica, non se la passa bene in tutto il mondo. I motivi sono tantissimi, ovviamente, e non possiamo certo parlarne qui. All’interno di questo scenario poco positivo il cinema italiano soffre di tantissimi problemi. Il nostro cinema sta vivendo una crisi profonda, creativa e industriale, che dura da anni. Uno dei problemi principali è il sistema stesso, l’industria cinema, che oggi come oggi in Italia vive di fatto quasi soltanto grazie a finanziamenti statali o parastatali, investimenti pubblicitari e qualsiasi altra cosa ti venga in mente che non sia il biglietto del pubblico. Ecco allora che il prodotto film non è più l’obiettivo dell’industria. L’obiettivo è tutto quello che gira intorno al film. Già parlare di cinema è riduttivo dato che ormai si parla di settore audiovisivo E, sia chiaro, io non sono un passatista che piange perché prima era tutto più bello, né il l professor Guidobaldo Maria Riccardelli di turno che vorrebbe soltanto proiezioni di film di Murnau o di Griffith. All’interno di questo scenario di crisi però si possono trovare film di qualità, belli, e anche film che riescono ad arrivare al pubblico. Ma è sempre più difficile e, sopratutto, sarà sempre più difficile. Senza tener conto dell’impatto enorme che l’AI e lo sviluppo tecnologico avrà nei prossimi anni.

Quali sono i tuoi generi letterari preferiti?

Mi piace molto sperimentare. Dopo un periodo passato a leggere soprattutto non fiction, ultimamente sono tornato alla narrativa. Potrei darti una risposta banale dicendo che il mio genere letterario è quello dei libri ben scritti, a prescindere dal genere.

Domanda un po’ banale: i 3 libri che ti porteresti nell’isola deserta?

Domanda davvero impossibile ma provo a rispondere lo stesso: la Recherche di Proust, Re Macchiati di Sangue di Tim Willocks e Il piccolo isolazionista di Tommaso Labranca. Ma se me lo chiedi domani probabilmente la risposta sarebbe diversa…

Cosa ne pensi della crisi delle vendite di libri in Italia?

Da una parte è una crisi fisiologica e strutturale. Non dimentichiamo però che il mercato editoriale italiano è sesto a livello mondiale (dopo Usa, Cina, Germania, UK e Francia) e quarto in Europa. Di sicuro le scelte degli editori, fatte in base a motivazioni che potremmo definire politiche, incidono molto. Potremmo parlare per ore del problema della distribuzione, dei prezzi, delle librerie, ecc. ecc. Personalmente credo che ci sarà una riduzione progressiva delle vendite in tutto il mondo da qui ai prossimi 10 anni, il tutto all’interno di uno scenario complessivo in cui gli editori perderanno progressivamente sempre più fette di mercato a favore di autori intraprendenti in grado di crearsi community verticali (si veda il caso di Brendon Sanderson).

Sia l’intervistato che l’intervistatore vivono a Padova: cosa ne pensi della situazione a livello culturale di questa città?

Credo che Padova da questo punto di vista offra tantissimo, pure troppo. Ci sono molte iniziative, tante di qualità assoluta. Scontiamo un certo provincialismo, fattore però inevitabile, ma se si considera che siamo a due passi da un centro di produzione culturale mondiale come Venezia non possiamo proprio lamentarci. Ci sono periodi dell’anno in cui ci sovrappongono 3-4 festival importanti, per non parlare poi delle rassegne indipendenti. Insomma, direi che non ci possiamo lamentare.

Progetti in cantiere per il futuro?

Ce ne sono tanti ma ne cito uno in particolare, ovvero VENICE NOIR, un festival internazionale dedicato alla letteratura noir che si terrà a Venezia a novembre 2025. Ho assunto la direzione della sezione italiana del festival e posso dire che sarà un evento davvero da non perdere. Hanno già confermato la loro presenza autori e autrici di livello internazionale e, grazie allo straordinario lavoro della Libreria Studium da cui nasce il progetto, porteremo a Venezia un evento che non c’era (cosa davvero difficile a Venezia, te l’assicuro!). Ci stiamo lavorando già da un paio di mesi, siamo partiti subito dopo l’edizione “zero” dell’anno scorso (in cui non ero coinvolto).

Hai voglia in qualche modo di salutare i tuoi fans ed i lettori di CineAvatar?

Molto volentieri (anche se credo che i miei fans siano pochissimi), però userò un saluto “in codice”: up the irons!