fede baccomo
É uscito il 1 ottobre 2014 per Marsilio Editore il nuovo romanzo di Federico BaccomoPeep Show“.
A distanza di tre anni da “La Gente che sta bene” (2011), l’autore milanese, noto anche con lo pseudonimo di Duchesne, è tornato nelle librerie italiane con la sua ultima fatica letteraria e in occasione di un recente incontro abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Disponibile e cordiale, abbiamo parlato insieme a lui di cinema, tv e letteratura, e della sua scelta di abbandonare la professione di avvocato per intraprendere l’attività di scrittore, raggiungendo il successo nel 2009 con il libro d’esordio Studio Illegale.
  • Domanda di apertura: Federico Baccomo, in arte Duchesne, nato a Milano…Carta d’identità e presentazione:
    Sulla bandella dei miei libri c’è scritto solo: “Nato a Milano, il 13 agosto 1978”. Devo dire che continua a sembrarmi la descrizione più esauriente che possa fare di me.
  • Da avvocato a scrittore: la tua carriera può essere paragonata a quella di un altro noto romanziere, Giancarlo Carofiglio, magistrato di formazione e anche scrittore. Come motivi questo radicale ed improvviso cambiamento?
    A ripensarci oggi, più dei motivi per cui ho cambiato strada, mi viene da chiedermi i motivi per cui abbia intrapreso la strada precedente, ma a posteriori è facile e fuorviante dare una forma più o meno coerente a decisioni che lì per lì son state prese sull’onda di istinti e necessità contingenti.
  • Dopo il successo con la tua opera prima “Studio Illegale” è stato tratto un film. La storia portata sul grande schermo rispecchia quella raccontata nel tuo romanzo?

    Se non fosse per il titolo (che pure, nel film, è stato cambiato con l’aggiunta di un sottotitolo un po’ delirante come “In amore vince chi inganna”), nella trasposizione resta ben poco della trama originaria. Mi sembra però, ed è la cosa cui tenevo di più, che siano stati rispettati tema e tono, in un film che forse ha perso un po’ in umorismo ma ha guadagnato nell’approccio, acutizzando l’alienazione e – penso al finale ad esempio – addirittura la cattiveria presente nel romanzo.
  • Si é parlato molto di “Studio Illegale” e del protagonista Andrea Campi interpretato da Fabio Volo. Cosa ha di diverso il tuo Campi rispetto a quello impersonato da Volo nel film?
    Volo è stato un protagonista perfetto, ha una malinconia e un cinismo molto simili a quelli dell’Andrea romanzesco. Le differenze non sono poche (una per tutte: nel libro Andrea è un imbranato con le donne; nel film si dà qualche vezzo da sciupafemmine) ma nulla che abbia snaturato il mio protagonista.
  • Nel libro “Studio Illegale” citi il personaggio Bardamu, protagonista indiscusso del romanzo che ha influenzato il XX secolo, “Viaggio al termine della notte “, di Louis-Ferdinand Céline. Nello scenario letterario contemporaneo a quale autore ti ispiri?
    Più che autori cui mi ispiro, ci sono autori che amo leggere e che, più o meno inconsciamente, finiscono nelle cose che scrivo, anche se in modi che forse riconosco solo io. Al di là dei nomi più citati, mi piace pagare il mio tributo ad autori comici che magari pesano poco sul mio stile di scrittura, ma incidono pesantemente sul mio modo di guardare il mondo e, di conseguenza, di raccontare le mie storie. Penso a Bill Hicks, Jimmy Carr, Jack Handey, Louie CK, Larry David, Key&Peele, ecc.
  • Cosa ne pensi del fenomeno dell’oralità e degli scrittori Ascanio Celestini, Marco Paolini e Dario Fo che, sulla scuola sperimentata da Antonin Artaud e poi ripresa da Carmelo Bene, cercano di fare confluire e mantenere intatta la fragile soglia tra oralità e scrittura?
    È un discorso complesso, per banalizzarlo mi limito a dire che mi piacciono molto i libri che, letti ad alta voce, riescono a non suonare goffi, artefatti, o addirittura ridicoli. Mi viene in mente Paolo Nori, uno che sta portando avanti un discorso di questo tipo con risultati che a me sembrano meravigliosi. Quanto ai miei libri, ho spesso l’impressione che, letti ad alta voce, suonino esattamente goffi, artefatti, o addirittura ridicoli. Poi, però, rileggendoli nel solito modo, in silenzio, solo con gli occhi, tornano a sembrarmi belli, e allora va bene anche così.
  • Domanda di rito: Qual é il tuo libro preferito e il film che più hai amato?

    Sono frasi – “il mio libro preferito”, “il mio film preferito” – che uso a proposito di decine di libri e film, a seconda dei giorni e degli umori. In questo momento, con questo umore, direi “Delitto e castigo” e “Ricomincio da capo”.
  • Letteratura e cinema: cosa ne pensi della commistione sempre più frequente tra le due arti? Mancanza di originalità da parte degli autori o diffusione cross-mediale della letteratura contemporanea?

    Non credo ci siano ragioni particolari, penso che tutto si riduca alla forza della storia in sé: ce ne sono alcune che funzionano sulla carta tanto bene che attori, registi, sceneggiatori o produttori, sperano funzionino anche in video.
  • Cinema italiano: cosa ne pensi dell’industria cinematografica attuale? E in rapporto a quella del passato?

    Non conosco abbastanza il mondo produttivo, né attuale, né passato, per potermene fare un’idea. Guardando ai risultati, mi viene da dire forse l’industria cinematografica di ieri aveva maggiore coraggio e volontà.
  • Quali sono secondo te gli artisti della nuova generazione che meglio assorbono la lezione del cinema tricolore del quarantennio ‘50-’80?

    Confesso che non sono molto preparato sul cinema italiano d’oggi. Per averci lavorato insieme, posso dire che Francesco Patierno segue dei percorsi cinematografici che mi sembrano molto interessanti.
  • Dopo “Studio Illegale” e “La gente che sta bene” il 1 ottobre è uscita la tua ultima fatica letteraria “Peep Show”. È stato un percorso lungo e faticoso?
    È un libro che, nella sua idea iniziale, nasce nel 2009. La stesura vera e propria è cominciata poi nel 2011 ed è terminata nel 2014. In questo senso, è il libro che ho impiegato più tempo a scrivere e forse, per questo, è anche quello che mi ha coinvolto di più. Scrivendolo, ho letteralmente riso e pianto: ci sono finiti dentro tutti gli stati d’animo di questi che sono stati tra gli anni più intensi della mia vita, con parecchi momenti splendidi e altrettanti difficili. Non saprei immaginare un percorso più entusiasmante per la scrittura di un libro.
  • Dal mondo degli affari a quello delle star, in Peep Show racconti ‘fama, solitudine e ossessione di apparire’. È il ritratto attuale dello ‘showbiz’?
    In realtà quelle sono semplificazioni da quarta di copertina. Il libro è il ritratto solo del suo protagonista: la fama è quella che ha avuto e non ha più, la solitudine è quella che vive, l’ossessione di apparire è quella che lo macera. Da lì il romanzo si sviluppa in diverse direzioni, senza intenti sociologici, ma con il solo scopo di raccontare la storia più coinvolgente con il materiale narrativo che offrono questi tempi disperati e molto interessanti.
  • Il protagonista Nicola Presci lo ritroveremo prossimamente al cinema?

    Tre su tre sarebbe un risultato davvero sorprendente, ma si resta sempre ben disposti alla sorpresa.
  • Dai tuoi romanzi ai film: i registi Carteni e Patierno come hanno rappresentato e adattato i tuoi libri?
    Carteni e Patierno, in modi diversi, si sono rivelati due registi splendidi, sia a livello professionale che a livello umano. Realizzare un film nella maniera più libera è molto difficile, in loro ho trovato due uomini di carattere che hanno saputo difendere la loro sensibilità, che in entrambi i casi era anche la mia.
  • Domanda di chiusura: progetti per il futuro? Un nuovo romanzo o un altro film?
    Entrambi: ho terminato da poco la prima versione di una sceneggiatura (un adattamento da un romanzo inglese) e ho cominciato a scrivere un nuovo romanzo. Progetti ancora molto giovani, vediamo se (e come) cresceranno.
 a cura di Andrea Rurali e Giulia Grementieri