C’è un momento di Mine, in cui il soldato Mike Stevens si prepara ad affrontare una tempesta di sabbia, in arrivo dall’orizzonte. Il suo piede è poggiato su una mina, pronta ad esplodere appena diminuirà la pressione esercitata su di essa. Mike (Armie Hammer) decide di non arrendersi e si prepara all’impatto con il muro di vento. In tutta fretta imbraccia il fucile, raduna l’attrezzatura e si fissa a terra come può. In mezzo alla sabbia, diventa un vero eroe antico, isolato ma instancabile, strenuo combattente di una guerra che non può vincere. La colonna sonora sale, Mike resiste, umiliato e in ginocchio, ma persevera con una forza sovrumana.
Quando la natura smette di infierire sull’uomo, egli si rialza e rinasce dalle (proprie) ceneri in un’immagine potentissima, puro Sturm und Drang in un film che parla della vita, delle vittime di guerre esteriori e interiori. Il titanismo di Mine non è infatti un’esaltazione dell’eroismo dei forti, ma è racconto della ricerca della libertà da parte dei deboli. Fabio & Fabio (Guaglione e Resinaro) hanno scelto una storia intima, intrinseca e introspettiva (ripensate bene al titolo: Mine…), basata su un high concept deciso senza però ridurre il lungometraggio ad una lunga ripetizione della medesima idea. I due filmmaker mostrano i denti e il coraggio, pari a quello del loro protagonista, in un mercato cinematografico rischioso come un deserto minato. Dopo la visione di Mine si esce dalla sala più vicini ad un film sperimentale, autoriale, che ad un blockbuster all’americana. Certo, i rimandi sono quelli: un cinema che sa intrattenere ed accattivare grazie ad una messa in scena poderosa, eppure, nel secondo atto, Guaglione e Resinaro sconvolgono tutte le carte in tavola, portando il film in un limbo tra sogno e realtà, tra dramma e commedia e trovando un tono personale, insolito per opere così ambiziose.
Prendere o lasciare. Mine è così: un gioco in cui non è semplice entrare – serve un approccio non distratto ma partecipe – in cui una volta catturati è pressoché impossibile uscirne. Non stiamo parlando di un’opera perfetta, ma di una vera e propria sorpresa verso cui vale la pena evidenziare ogni singolo pregio. Un’esperienza cinematografica totale e autentica, sostenuta da una sceneggiatura che, malgrado alcuni dialoghi non troppo limati, riesce a creare numerosi sotto-testi e strati d’analisi. Giunti al termine della corsa, nonostante tutto sia formalmente chiarissimo, è quasi inevitabile speculare e creare teorie filmiche che completino la parte ‘non enunciata’. Come le migliori pellicole psicologiche, Mine potrebbe raccontare una parabola diversa ad ogni visione. Senza entrare nello specifico per non svelare nulla, ogni scelta di sceneggiatura apre ad almeno 3-4 letture che richiederebbero altrettante riflessioni per essere decifrate. Persino il punto di vista potrebbe sorprendere: siamo nel deserto vicino a Mike o nella sua mente? Probabile che la risposta sia una terza: siamo in mano a due giovani registi, che come il soldato in ginocchio, si fanno strada con umiltà nel loro sogno professionale. Ecco perché Mine è così importante per il cinema italiano: perché assieme a Lo Chiamavano Jeeg Robot, rivelazione della scorsa stagione, l’emozionante Veloce come il vento, il noir apocalittico Suburra e Perfetti sconosciuti, è segno della rinascita di un cinema che combatte contro una terribile tempesta di sabbia… ma sta vincendo.
Consigliato a: a tutti. E se incasserà bene facciamo una cosa importante per i giovani cineasti.
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