sergio sollima
Crescere con il mito del cinema western è un privilegio davvero unico.
Nel mio caso non fu una scelta obbligata o una costrizione, ne tanto meno il riflesso di una passione tramandata da mio padre. Fu qualcosa di più profondo: un’attrazione fulminante, un magnetismo pungente, un vero colpo di fulmine.
Con il passare degli anni la mia collezione di western italiani si faceva sempre più corposa. C’era spazio per ogni forma e declinazione del genere: dalla gloriosa trilogia del dollaro di Sergio Leone ai film western più cinici e spietati di Sergio Corbucci (Django e Il Grande Silenzio su tutti), passando per quelli crepuscolari e visionari degli anni ’70 (Blindman, Keoma, I Quattro dell’Apocalisse, Prega il Morto e Ammazza il Vivo tanto per citarne solo alcuni) e alle pellicole più atipiche, ma anche ermetiche, contaminate da altri generi (Matalo, E Dio disse a Caino, Joko invoca Dio…e muori). E poi c’erano i cosiddetti ‘Western Politici‘, quelli sovversivi, considerati al tempo estremamente attuali per le tematiche sociali trattate nei film.
Tra i registi dell’epoca, spiccava un grande demiurgo del western, un genio rivoluzionario del genere, sempre attento e meticoloso nel costruire le storie, le rappresentazioni, e soprattutto i personaggi: Sergio Sollima.

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Classe 1921 e romano doc, dopo il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma iniziò la sua carriera artistica come assistente di Domenico Paolella, e forte dell’amicizia che lo legava a conterraneo Sergio Leone, si avvicinó al cinema western diventandone poi degli anni ’70 uno dei massimi esponenti e specialisti di riferimento, apprezzato e riconosciuto anche oltreoceano (da un certo Tarantino).
Maniaco nella perizia e nella cura meticolosa dei dettagli, con predilezione per la creazione dei protagonisti dei suoi film, Sollima fu il promotore di un cinema che non voleva nascondere nulla ma, al contrario, che voleva raccontare la realtà dei fatti, attraverso un volto che potesse diventare l’emblema della protesta, il simbolo della rivolta. Ed è così che nacque l’iconico ‘Cuchillo’, giovane messicano anti-regime e figura cardine della trilogia western composta da La Resa dei Conti, Faccia a Faccia e Corri Uomo Corri.
Il personaggio coniato dal regista, straordinariamente interpretato da Tomas Milian, non solo diventò ‘un mito’ per gli amanti del genere (e in modo smodato per me), ma contribuì a dare una svolta alla tradizione dei duelli del western:  La Resa dei Conti rappresentò il primo formidabile esempio di contesa ‘face to face’ dove alla pistola fu contrapposto il coltello di Manuel ‘Cuchillo’ Sanchez. Quella scena passò alla storia e diventò epica, indimenticabile, anche grazie alla colonna sonora di Ennio Morricone.
Ma il cineasta romano non si dedicò solo al western: negli anni precedenti firmó il dittico di spy-movie all’italiana sull’Agente 3S3 con lo pseudonimo di Simon Sterling (Agente 3S3: Passaporto per l’inferno, Agente 3S3. Massacro al sole), e a partire dagli anni settanta realizzò alcune opere noir davvero significative come Città violenta (1970) con Charles Bronson, Il diavolo nel cervello (1972) e Revolver (1973).
La sua arte conquistò persino il piccolo schermo, dirigendo sceneggiati televisivi e trasposizioni ispirate ai romanzi d’avventura di Emilio Salgari: correva l’anno 1976 e in tv spopolava il fenomeno della Tigre della Malesia e di Sandokan incarnato nella miniserie tv (adattata in seguito in versione cinematografica divisa in due parti)  dal gigante indiano Kabir Bedi, con cui poi Sollima lavorò ne Il corsaro nero e ne La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa!.
Oggi, dopo una carriera straordinaria, si è spento a Roma all’età di 94 anni, lasciando in eredità il suo cinema al figlio Stefano, già autore di due piccoli gioielli ‘seriali’ come Romanzo Criminale e Gomorra.
E ora da lassù ritroverà tanti amici, colleghi ed artisti, tra cui Leone e Corbucci con i quali formava il favoloso ed italianissimo ‘triumvirato della S’, quella di Sergio.
Buon viaggio Maestro, grazie infinite