Luca Guadagnino presenta in Concorso a Venezia 81 il suo Queer, un film imperfetto dall’anima palpitante.
Di cosa parla Queer?
È il 1950. William Lee (Daniel Craig) è un americano sulla soglia dei cinquanta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. L’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane studente appena arrivato in città, gli mostra per la prima volta la possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno.
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Un film imperfetto dall’anima palpitante
Queer è un film difficile. Difficile da digerire, da comprendere e raccontare. Una storia d’amore visionaria che oscilla tra solitudine e dipendenza tra il Messico e il Sudamerica degli anni Cinquanta.
Il film di Guadagnino mette in scena un ritratto di un artista maledetto e libertino attraverso i suoi vizi, le sue tragedie personali, ma anche i suoi momenti più buffi e comici.
È difficile comprendere cosa volesse dire essere queer negli anni ’50, quando il termine aveva ancora un’accezione negativa e denigratoria e, ovviamente, non era nemmeno considerato come uno spettro dell’identità di genere e orientamento sessuale, ma Guadagnino prova a dargli forma dipingendo quadri filmici esteticamente magnifici.
Il regista italiano crea un immaginario dai toni danteschi sottolineando il peregrinare errante dei due personaggi tra le strade e la giungla sudamericana alla ricerca dell’espiazione dei propri tormenti. Non è solo una storia di una passione non corrisposta, ma un viaggio alla scoperta di se stessi per comprendere gli altri.
Estetica e iperrealismo
Queer non è immediato, ma è un gentile connubio di tanti elementi che lo rendono visivamente sublime e di una bellezza straziante. Tutto sembra accadere sulla scena prima ancora che venga effettivamente raccontato, in una tensione lieve che mantiene vigile lo spettatore e cercando di anticipare, quasi telepaticamente, i suoi pensieri.
Luca Guadagnino, e i due attori protagonisti, si spingono oltre se stessi sperimentando e creando espressioni originali che, tuttavia, non hanno sempre l’esito sperato. La storia perde il mordente nella seconda parte e sembra non riuscire a collegare i vari capitoli tra loro, risultando sfacciatamente discontinua. L’estetica invece è ineccepibile, tutto è strutturato in geometrie che ricordano le opere di Edward Hopper.
Com’è il film?
Seppur impreciso, Queer è struggente e cerca di mostrare qualcosa che va oltre il sentire umano facendo vibrare le corde giuste. L’opera mette in soggezione, è spaventosa nel momento in cui richiede direttamente allo spettatore di impegnarsi in un viaggio fisico e metafisico. Un film che, se non avesse peccato di troppa sicurezza, sarebbe stato un capolavoro di empatia e commozione.
Qualcosa stride nella rappresentazione dei personaggi, come se la loro storia, per quanto universale, non riesca a toccare lo spettatore da vicino, richiedendo uno sforzo che, però, non tutti, sono in grado di sostenere.
Foto: via La Biennale di Venezia