Gugliem-Otell. È questo il gioco di parole, basato sulla fonetica e le associazioni letterarie, che riassume il cammino allegorico, tra excursus ascendenti e discenti, di Rafael Padilla (Omar Sy), in arte Chocolat, il primo artista francese di colore ad imporsi nella Parigi della Belle Epoque in grado di rivoluzionare, grazie al suo stile e all’approccio innovativo, l’arte clownesca insieme al compagno bianco Footit (James Thiérrée).
Il fragile muro tra finzione e realtà è esemplificabile in due momenti chiave della carriera di Chocolat, la cui fama è appesa ad un filo e vive di costanti lampi d’eccesso: il numero di Guglielmo Tell e della mela, inscenato con il collega Footit e la scelta radicale di abbandonare i panni di buffo giullare, deriso e applaudito dell’alta borghesia, per indossare quelli più autorevoli e tragici dell’Otello di Shakespeare. Un’operazione alquanto complicata, considerata la forma di austerità e le preclusioni ‘morali ed etiche’ diffuse a livello collettivo e istituzionale; una scelta ancor più azzardata se paragonata all’ambizione e alla speranza di una persona che, motivata dal sogno di rivalsa e dalla ricerca di una propria dimensione identitaria, cercò di cambiare da solo le cose senza trovare il favore di un sistema troppo offuscato dal rigore intellettuale e da una ‘simulata’ autonomia di pensiero.
Dal circo al teatro, dall’anonimato al successo, Mister Chocolat racconta l’incredibile parabola di un uomo piegato dal gioco d’azzardo e dai pregiudizi di una società ostile che lo portarono a combattere contro la discriminazione razziale e la conquista della libertà. In bilico tra dramma e commedia, finzione e realtà, la pellicola segue il rapporto sincero e unico che legò i due grandi artisti in maniera indissolubile, nonostante le avversità e i numerosi litigi che misero in continua discussione la loro autentica amicizia. Immortalati su celluloide durante le loro gag dai fratelli Lumière, Rafael e Footit rappresentano due facce di una stessa medaglia, uniti e divisi dalla loro volontà e dal desiderio di rendere tangibile un sogno inseguito da tempo: diventare i clown migliori e più conosciuti di tutta la Francia.
Nel tentativo di costruire un film realistico, a tratti teatrale, che potesse in qualche modo ricondurre all’attenzione del pubblico una straordinaria vicenda di forza, coraggio e amore, il regista Roschdy Zem ripone nelle mani di OmarSy (Quasi Amici) il destino cinematografico di una personaggio eccentrico ed esuberante che sfidò la cultura e il credo comune di una nazione, non ancora pronta alla fine dell’Ottocento a superare i preconcetti derivanti dal colore della pelle, e a considerare i neri come semplice merce di scambio da sfruttare per trarne diletto o divertimento. Un obiettivo raggiunto a metà, poiché l’aspetto problematico della pellicola sta proprio nell’interpretazione di Sy, non pienamente padrone di un registro stilistico che gli consente di alternare accenti comici a intonazioni drammatiche in totale disinvoltura. Al contrario James Thiérrée, nipote di Charlie Chaplin, è abile nel calarsi perfettamente nella parte e a conferire al suo alter-ego la giusta carica emotiva.
Illuminato da una fotografia pittorica e avvolgente dal sapore retrò, e dalla riproposizione di tableaux vivants che richiamano la potenza espressiva dell’illustre Jean-François Millet (situazioni campestri, mietitrici, scenari naturali), Mister Chocolat ha il merito di aver restituito importanza ad una storia vera caduta nell’oblio per anni e aver donato lustro alla vita di un artista sorprendente che, con passione e sacrificio, ha lasciato il segno nell’universo circense.
Andrea Rurali
Recensione pubblicata anche su MaSeDomani.com
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