La recensione di Nomadland,
il film di Chloé Zhao vincitore di 3 premi Oscar

Nomadland ha il sapore di una strofa musicale.
Una strofa che fa:

They say in Heaven, love comes first
We’ll make Heaven a place on Earth
Ooh, Heaven is a place on Earth

Immaginate di perdere tutto: famiglia, casa, lavoro, città in cui vivete. Tutto cancellato a causa di una delle più grandi crisi economiche del ventunesimo secolo.
Immaginale lo smarrimento, il lutto, il dolore. Impacchettate quei pochi oggetti che vi rimangono che raccontano del vostro passato e provate a custodirli nell’unico posto che ancora potete chiamare “vostro”, un vecchio van arrugginito, e andate via. Partite. Scappate. Alla ricerca di un non-luogo che possa contenere tutto quello che siete stati, che siete e vorrete essere.
Questo è l’incipit di Nomadland, film del 2020 scritto, diretto, co-prodotto e montato da Chloé Zhao con protagonista Frances McDormand (clicca QUI per leggere il nostro approfondimento su Fargo) la cui interpretazione così vivida e naturale della protagonista di questa storia, Fern, rende il film e la storia narrata un vero e proprio trionfo.

nomadland

“No, non sono una senzatetto, sono senza casa. Non è la stessa cosa, giusto?”

Definire la pellicola della Zhao come un elogio funebre del sogno americano sarebbe riduttivo, se non altro perché questo film, al contrario, parla di vita. E di vita oltre la morte.
Fern, unica protagonista della pellicola,  prende per mano lo spettatore, come se fosse il suo Virgilio e lo guida in un viaggio catartico verso una nuova vita. Dal gelido Inferno del mondo capitalista verso un temperato Paradiso sulla Terra. 

Il viaggio in van non è che un granello di sabbia di quello che è un progetto più grande e più luminoso, che profuma di libertà, di redenzione e di luoghi incontaminati a misura d’uomo, dove il lavoro è un mezzo per vivere e nulla di più.
La vera casa di Fern non è il furgoncino in cui vive, ma ciò che lo circonda: il mondo.

“Puoi morirci qui. Sei in mezzo al deserto, lontano da tutti. Puoi morirci qui, non lo capisci ? Devi prenderla seriamente. Devi poter trovare aiuto. Poterti cambiare una gomma da sola”.

Nomadland

In Nomadland il paesaggio diventa protagonista, si evolve e muta continuamente nel corso degli spostamenti della protagonista. Un paesaggio che accoglie e che mette alla prova, la cui bellezza è messa in risalto dalla fotografia delicata e dalle inquadrature di ampio respiro che abbiamo imparato a conoscere nelle opere precedenti della Zhao (Songs my brother taught me , The Rider) e che sono diventate col tempo una sua squisita cifra stilistica. La parte occidentale degli Stati Uniti d’America è un trionfo di diversità paesaggistica, così come l’umanità che Fern incontra (e ci fa incontrare) nel suo cammino.

Storie diverse, per lo più di “outsider” della società americana, acquisiscono volti, nomi e voci; con  aggraziati e mai invasivi movimenti di macchina, quasi documentaristici, le anime variopinte che  abitano il mondo della strada insieme a Fern si presentano al pubblico come esseri eroi ed eroine erranti, in cerca di libertà, di dignità e di speranza.

Costretti o meno a intraprendere la “van lifestyle”, tutti hanno qualcosa in comune: hanno voltato le spalle alla società che li ha sfruttati, traditi, feriti e gettati via come vecchie bestie da lavoro. 

Hanno trasformato la povertà in opportunità, mandando al diavolo i costrutti sociali, creandosi un proprio intoccabile sogno americano, che nessuna Corporation potrà portargli via. 

nomadland
Nomadland

“E la cosa strana è che noi non solo accettiamo la tirannide del dollaro…la tirannide del mercato, noi la abbracciamo. Ci assoggettiamo volentieri al giogo, alla tirannia del dollaro che ci accompagna, per tutta la vita. Penso all’analogia con il cavallo da soma: il cavallo da soma che è disposto a lavorare fino allo stremo, per poi essere messo da parte. E questo accade a così tanti di noi. Se la società vuole gettarci via, mettere noi, cavalli da soma, da parte, noi dobbiamo radunarci e prenderci cura gli uni degli altri.”

Sebbene la critica anti-capitalistica sia presente in Nomadland e sia l’origine stessa del fenomeno che ci racconta, Chloé Zhao decide di metterla in secondo piano, mettendo al centro della macchina da presa le persone. Le vite. Gli sforzi. I dolori. Con particolare attenzione all’esperienza femminile. Alcune delle delle donne che Fern incontrerà sul suo commino saranno vere nomadi anche fuori di scena, alcune incontrate per caso, altre richiamate dalle pagine del libro-inchiesta da cui è tratto il film, per rendere loro omaggio: donne forti e indipendenti che hanno scelto di vivere una vita estrema, per non sprecare neanche un secondo del tempo loro rimasto. 

Come racconta la stessa Jessica Bruner, autrice del libro Nomadland – Un racconto d’inchiesta:“Essere umani significa desiderare molto più che la mera sopravvivenza. Abbiamo bisogno di speranza proprio come di cibo o di riparo”.

 “Una delle cose che amo di più di questa vita, è che non c’è un addio definitivo. Ho conosciuto centinaia di persone qui. E io non dico mai addio per sempre, dico solo: ci vediamo lungo la strada. Ed è così: li rivedo. E posso essere sicuro, in cuor mio, che ti rivedrò un giorno.”

La vita da nomadi è un antidoto contro la morte, contro il tempo e contro il dolore, entità troppo vicine alla quotidianità dello spettatore. Entità che respirano negli inframezzi di un film potente e immenso, come un abbraccio.

Alessia Di Rella