COLLATERAL BEAUTY, la recensione del film di David Frankel

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Will Smith in una foto di Collateral Beauty
Will Smith in una foto di Collateral Beauty
collateral beauty
Il poster italiano di Collateral Beauty
Collateral Beauty è esattamente il contrario di quello che il trailer ha promesso. Il fatto non sarebbe grave se si trattasse di aspettative deluse o di atmosfere e temi mal promossi. La nota negativa è che la pubblicità e i trailer di Collateral Beauty hanno fatto credere di essere di fronte ad un altro film: una pellicola spirituale, in cui Will Smith, che interpreta un padre afflitto da una grave perdita in famiglia di nome Howard, incontra la forma umana della morte, dell’amore e del tempo.
Una sorta di canto di Natale in versione moderna. Queste tre figure entrerebbero infatti in contatto con l’uomo per spiegargli il senso del suo dolore e per convincerlo a ritornare a vivere. Il condizionale è d’obbligo dal momento che nulla di tutto ciò accade nel lungometraggio. 
È giusto avvisare il lettore che stiamo entrando in un terreno che potremmo definire Spoiler.
O meglio, i dettagli di trama che stiamo per sviscerare non dovrebbero corrispondere ad un’anticipazione di un colpo di scena dal momento che, non solo appartengono al primo atto, ma sono l’idea principale attorno a cui ruota la pellicola. Nessuno avrebbe mai promosso Mrs. Doubtfire come un commedia su un transessuale, sarebbe stato ingannare lo spettatore. Così come Una Poltrona per Due non può essere venduto come un film sull’alta finanza. Sarebbe stato scorretto. Ebbene, nei primi minuti di Collateral Beauty vediamo che le personificazioni di Amore, Tempo e Morte non sono altro che attori assoldati dagli amici di Howard per farlo rinsavire. Da qui la pellicola si dipana, da quello che, secondo il trailer, doveva essere il colpo di scena finale. Insomma, due film diversi, due trame diverse (una paranormale, l’altra da semplice commedia degli inganni).
Will Smith in una foto di Collateral Beauty
Will Smith in una foto di Collateral Beauty
Entrando nello specifico dell’opera è impossibile non notare come il piano ordito dagli amici sia di una insensatezza rara. Prendere le lettere segrete di un uomo affranto dalla perdita della figlia, indirizzate ad entità astratte, farlo colloquiare con attori pagati per illuderlo di avere una possibilità di conoscere le condizioni della figlia morta e ridestarlo dalla sua depressione, sono forse ciò che di più crudele si sia visto al cinema negli ultimi anni. Di conseguenza, avendo una premessa così debole, tutto l’apparato filmico crolla in una serie di colpi di scena (questi non verranno rivelati perché effettivamente costituirebbero un’anticipazione) inspiegabili.
Le performance del nutrito cast cercano di salvare una sceneggiatura connotata filosoficamente dalla peggiore spiritualità new age, composta da frasi fatte e sentimenti svenduti. L’obiettivo di commuovere lo spettatore può anche arrivare fino in fondo, dipende dal lato in cui lo si guarda, ma è perseguito con un tale artificio da renderlo respingente. Collateral Beauty non sarebbe da considerare un lungometraggio non riuscito se venisse presentato al pubblico per come è veramente. La visione, nonostante gli eccessivi livelli di edulcorazione, può essere piacevole nei momenti liberi delle domeniche più rilassate.
È la pretesa di una qualità artistica che non possiede, l’aspirazione ad essere un veicolo di una morale subculturale (per intenderci: scientology) imposta come verità assoluta, l’assenza di ogni problema etico o spirituale, a renderlo un film-non film. Il cinema pone domande, non fa propaganda. Collateral Beauty è un melodramma hollywoodiano messo insieme con grandi mezzi, popolato da grandi star, ma che ha la stessa anima di un video natalizio, passato di cellulare in cellulare nelle catene su What’s App. Un vero peccato.
Consigliato a: se avete mai amato i video natalizi con la morale che si trovano online questo è il film per voi.
Gabriele Lingiardi

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