La recensione di LACCI, il nuovo film di Daniele Luchetti presentato in apertura a Venezia 77
Tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone, il quale ha collaborato all’adattamento insieme a Francesco Piccolo e allo stesso regista, Lacci racconta una complessa storia di separazione e dolore, scaturita dallo spezzarsi di un rapporto amoroso che andrà inevitabilmente a segnare l’intera esistenza dei protagonisti.
Lacci mette in scena il delicato mondo dei legami relazionali e suggerisce il giusto spunto di riflessione sull’affetto, il tradimento e i rancori mai risolti. Lacci che si sciolgono ma che possono essere riallacciati: basandosi su questa metafora, Daniele Lucchetti (Mio fratello è figlio unico, Io sono Tempesta) sviluppa un dramma familiare costellato da una moltitudine di incomprensioni e di tante parole vuote.
Come in un puzzle, il regista incasella, in momenti e tempi diversi, le esperienze dei protagonisti, fino a giungere a quell’ultimo atto che riesce finalmente a delineare il quadro completo di quanto abbiamo appena visto. Assistiamo dapprima al disgregarsi del rapporto di Vanda (Alba Rohrwacher) e Aldo (Luigi Lo Cascio) a causa di un tradimento ammesso da quest’ultimo e, in seguito, al letto ricomporsi della relazione, appesantita però dallo spettro di un conflitto irrisolto.
La teatrale messa in scena di alcune sequenze, con lunghi monologhi e primi piani indugiati, è sicuramente l’aspetto più interessante della pellicola di Lucchetti. Nessuno di questi momenti ha lo scopo di portare avanti la trama; piuttosto l’intenzione è quella di dar vita a una narrazione basata unicamente su azioni e sentimenti.
Si tratta di un film “silenzioso”, dove non si raccontano le sensazioni a parole ma si vivono i sentimenti, senza mai parlarne realmente. Lo stesso protagonista viene tacciato di non essere in grado di esprimere a parole quello che prova, nonostante lasci trasparire la propria confusione e un senso di perenne inadeguatezza. Aldo si trascina questo ingombrante silenzio fino all’esplosione (affidata a un magistrale Silvio Orlando), in cui l’apparenza inetta e placida irrompe in uno sfogo rabbioso che, alla fine, risulta essere l’unico momento in cui le urla sono consentite. Luchetti azzarda soluzioni di regia mai scontate celando, attraverso vetri e pareti insonorizzate, ogni tipo di litigio e conflitto per rendere quelle parti raggelanti e sterili, in netto contrasto con il resto della pellicola.
Nonostante la caratterizzazione dei personaggi sia abbastanza stereotipata, i protagonisti di Lacci risultano convincenti e perfettamente calati nei loro ruoli. Nella duplice interpretazione di Vanda, Alba Rohrwacher e Laura Morante riescono ad assomigliarsi in maniera incredibile (nonostante il passaggio tra le due sia abbastanza straniante), mentre Luigi Lo Cascio e Silvio Orlando creano un Aldo molto diverso e forse, tra le due, è proprio l’interpretazione di Orlando a comunicare meglio la frustrazione del personaggio.
Lacci racconta una storia comune con onestà e schiettezza, senza mai trascendere in toni drammatici ed esasperati. Forse non era un film necessario… ma sembra proprio il tipo di film di cui abbiamo bisogno in questo periodo.