Con Spencer Pablo Larrain costruisce un film di ritorni al passato e (ri)approdi alla terra Natale, alle origini, alla bellezza della normalità. Non c’è spazio per Lady D, ma solo per Diana Spencer.

“C’era una volta una giovane fanciulla che sognava di incontrare il suo principe azzurro e diventare principessa”.
È un soggetto semplice, semplicissimo, quello che racchiude il fascino e la meraviglia della fiaba, la base di partenza che ha ispirato grandi capolavori della narrativa e (poi) del cinema. Come ogni fiaba (o quasi) che si rispetti, l’elemento fondamentale è la morale, l’atto conclusivo che riassume e definisce l’essenza della storia, spesso consolatorio come il tanto utilizzato “happy ending”, un finale positivo che auspica a sviluppi futuribili e radiosi. Ma dietro ogni fiaba si nascondono fantasmi, insidie, misteri; elementi che mettono in discussione la storia stessa e la sua cronaca “rosa”.

Persino nella clausola “e vissero tutti felici e contenti…” si cela una micro-macroscopica bugia: i tre puntini conclusivi, piccoli e impercettibili segni che sospendono la storia rimettendola nelle mani ineluttabili del destino.

È dai puntini di sospensione che parte Pablo Larraín per capovolgere il paradigma e raccontare una parabola al contrario, di fantasie e chimere, di aspettative e utopie.
Una giovane donna che sognava una vita da favola ma si ritrova prigioniera di (e in) essa: “a fable from a true tragedy (tradotto: una fiaba tratta da una vera tragedia) alza il sipario di Spencer e racchiude tutta l’essenza dell’opera.

spencer

È film sulle illusioni, Spencer. Una novella nera, cupa, corvina – come le dissolvenze e le scene avvolte dal nero della fotografia – che mette a nudo le speranze, i desideri, la mitologia dell’infinito. Ma è anche un film sulle falsità, sulla tragedia del reale e il valore empirico del tempo. “Il passato e il presente sono la stessa cosa, il futuro non esiste”, dice Lady D ai suoi figli in un bellissimo passaggio nelle stanze di Sandringham House, dove i Reali si trovano a trascorrere le festività natalizie (Vigilia di Natale, Natale e il Boxing Day), in un fine settimana cruciale che porterà Diana a divorziare da Carlo.

Ma osservando bene la sua struttura, è possibile notare come Larrain abbia costruito un film dell’orrore e sull’orrore, schedulato secondo i sacri crismi del cinema horror. La fabula della principessa si trasforma piano piano un tranquillo week end di paura. Come Biancaneve, che all’interno della sua sagoma da Classico Disney per ragazzi mostra la sua anima più pura da film dell’orrore, anche Spencer custodisce un côté horror. In un castello che sembra l’Overlook Hotel di Shining o La casa delle bambole di Pascal Laugier o ancora la prigione di Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood, va in scena un raccapricciante circo granguignolesco dell’alienazione, dove Diana cerca di fuggire per ritrovare la libertà.

Il regista cileno fa un ritratto di Diana Spencer spogliandola dal suo titolo di Lady, denudandola, e abbracciando il suo essere una ragazza semplice con una propria identità, restituendole una dimensione più intima e reale e, soprattutto, il suo vero nome (Spencer). Il film ruota attorno alla sofferenza di una donna che prende una decisione dolorosa e sofferta per riuscire a salvare se stessa. Diana oscilla tra il dubbio e la forte determinazione scegliendo, alla fine, di essere libera consacrando il suo lascito di onestà e umanità.

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Larraìn mette volutamente in disparte la famiglia Reale, non ha intenzione di fare un docudrama su Lady D, ma qualcosa di completamente diverso prendendo degli elementi dalla realtà e ricorrendo poi all’immaginazione per raccontare la vita di Diana. Senza crearne soltanto una replica, ma usando il potere del cinema e una strepitosa Kristen Stewart per dar vita a un mondo interiore in equilibrio tra il mistero e la fragilità del suo personaggio. Con una Diana che riflette i suoi ricordi, le paure, i suoi desideri in una spiazzante vulnerabilità.

Nel trittico natalizio Pablo Larraín racchiude un film che parla di ritorni al passato e (ri)approdi alla terra Natale, alle origini, alla bellezza della normalità. Tra fantasmi ricorrenti e il miraggio di una felicità irraggiungibile, Spencer è il dramma della solitudine di Diana, del suo essere Lady per elezione ma non per vocazione, di vivere all’ombra dei Reali senza mai sentirsi parte integrante. Del suo (soprav)vivere tra demoni del passato (l’ombra incombente di Anna Bolena) e del presente (la collana di perle, la stessa regalata da Carlo a Camilla, è un cappio al collo). Un grido disperato di dolore, sofferenza e disagio in attesa della via di fuga verso la libertà e di un inatteso miracolo (e qui il cerchio si chiude con un sorprendente happy ending). E non a caso, il film si chiude con una meravigliosa scena in auto dove Diana e i suoi figli cantano a squarciagola All I Need Is a Miracle dei Mike + The Mechanics. Perchè in fondo, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un miracolo.

Michela Vasini e Andrea Rurali

Presentato in concorso a Venezia 78.

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