selfless
Costruirsi un’identità solida è difficile già solamente nel proprio corpo, figuriamoci in quello di un altro. In Self/less, scritto da David e Àlex Pastor, il personaggio di Damian Hale (Ben Kingsley), un ricco uomo d’affari alla soglia dei 70, è malato terminale di cancro e si trova a tirare le somme della propria esistenza; ha costruito un forte impero economico ma si è indebolito nella sfera affettiva, come dire: un vinto negli affetti di verghiana memoria. La famiglia, costituita dall’unica figlia Claire (Michelle Dockery), lo disprezza. A queste condizioni, può la sua vita avere un senso compiuto? Potrà il suo impero economico dimostrarsi un’eredità (intesa in senso di retaggio) sufficiente a garantirgli una condizione d’immortalità, sia pur essa metaforica?
Damian conosce la risposta a queste domande e decide, così, di sottoporsi a un particolare e delicato intervento definito “shedding”, che consente di trasferire la coscienza di un uomo anziano in un corpo giovane e sano creato in laboratorio, al fine di prolungare la sua esistenza (verrebbe da dire che ciò non potrà avvenire in eterno). Il procedimento, estremamente segreto e costoso, viene effettuato dal misterioso Professor Albright (Matthew Goode) e sembra dare i suoi frutti, fin quando Damian, che nel suo nuovo involucro assume l’identità di Edward (Ryan Reynolds), non si rende conto che quelle che il Professore ha descritto come allucinazioni transitorie dovute alla procedura non sono altro che ricordi; per la precisione, quelli di Mark Bitwell (Ryan Reynolds). Questo perché, in realtà, i corpi usati per lo “shedding” non sono stati creati affatto in laboratorio: si tratta di individui realmente esistiti e che hanno venduto le proprie spoglie al Professore (ebbene sì, il classico scienziato pazzo) per far fronte a problemi economici personali.
maxresdefault (1)
Liberamente ispirato a Operazione Diabolica (film del 1966 di John Frankenheimer), Self/Less tratta temi di un certo spessore etico e filosofico, dall’eugenetica alla teleologia, in modo fastidiosamente superficiale, non riuscendo né a coinvolgere né ad emozionare lo spettatore. La regia di Tarsem Singh (The Cell, Immortals), generalmente evocativa e più volte votata a rendere “visibile” la psicologia dei personaggi, si perde tristemente producendo un banale action-movie che risulta peraltro lento e pesante. Neanche la recitazione è degna di nota: la mediocrità la fa da padrona e nemmeno il premio Oscar Ben Kingsley riesce nel miracolo di alzare il tiro di fronte all’interpretazione di Natalie Martinez. Insomma, l’unico vero involucro vuoto è questo film che, nonostante possieda in potenza tutti i presupposti per vivere, risulta poi privo di una vera coscienza, di quella sostanza di fondo che fa la differenza. Self/less manca dunque della capacità, parlando di tematiche tanto complesse, anche solo di aprire fronti di crisi (sviscerarle è chiedere troppo) su cui lo spettatore dovrebbe interrogarsi.
Rating_Cineavatar_2-5