poveri ma ricchi
La locandina di Poveri ma Ricchi
I Tucci sono una famiglia povera di Torresecca. Il padre Danilo intreccia mozzarelle, la madre Loredana è una casalinga ossessionata dalla pulizia, con loro i due figli, il cognato, perito agrario disoccupato, e la nonna, patita di serie tv. Un giorno la famiglia, baciata dalla fortuna, vince cento milioni di euro. Inizialmente decidono di tenere nascosta la vincita, ma presto il capo famiglia si lascerà sfuggire il segreto, costringendo la famiglia a scappare a nord, più precisamente a Milano dove, si dice, vivano i ricchi. Prendono così il via le avventure più assurde di una famiglia nostrana e provinciale coi miliardi.
Poveri ma ricchi, basato sulla commedia francese, Les Tuche, è la decima fatica registica di Fausto Brizzi. La messa in scena di Brizzi funziona, nonostante una struttura narrativa poco originale: le battute risultano divertenti mentre il tono scanzonato e gli sketch che si susseguono senza sosta provocano, inevitabilmente le risate degli spettatori.
Brizzi “esordisce” nel genere delle commedia vera e propria, allontanandosi dai suoi trascorsi romantici, e lo fa con furbizia strizzando l’occhio alla classicità del tema. Gli equivoci e le situazioni quasi surreali sembrano essere, infatti, la nota più positiva della pellicola.

poveri ma ricchi

Se in alcuni punti lo script scivola nei soliti stereotipi e luoghi comuni, soprattutto nel raccontare la vita di una città come Milano e quella della provincia romana, il film è deliberatamente comico e si avvale di un umorismo semplice e un linguaggio genuino per innescare l’ilarità.
Poveri ma Ricchi cerca di rispolverare il modello vincente delle commedie nazional-popolari prodotte negli anni ’60-’70 ma finisce per diventare un divertissement caricaturale che guarda al presente senza tratteggiare con efficacia la realtà. Nel tentativo di emulare le sceneggiature brillanti dell’epoca, che fondevano l’elemento comico e quello tragico in modo impeccabile ed esemplificativo, Fausto Brizzi propone un collage di sketch e gag iperboliche che funzionano grazie alle performance degli attori (De Sica, Brignano, Mazzamauro e Ocone) ma appaiono flebili all’interno della narrazione.
La canonicità del genere e la satira basata su cliché sociali allontanano in un certo senso la commedia di Brizzi dal filone dei cinepanettoni natalizi per portarla ad un livello leggermente superiore, evitando di puntare su scene di nudo o sessualmente esplicite come accadeva in passato.
Re indiscusso della commedia popolare è ancora una volta Christian De Sica che, anche in questo ruolo molto maccheronico (basti pensare al look insolito e bizzarro) dimostra la sua abilità nel far ridere e nel mantenere le fila della trama. Al suo fianco una simpaticissima Lucia Ocone che, grazie ad una buona intesa con De Sica, sfodera battute spassose a ripetizione. Relegato, si fa per dire, a spalla comica troviamo Enrico Brignano che sembra sentirsi un po’ stretto in questa parte marginale: a lui è affidata la sottotrama romantica a cui Brizzi non vuole rinunciare. In questa liason popolare c’è anche Lodovica Comello in un personaggio tanto esagerato quanto banale. Menzione speciale per Anna Mazzamauro, spontanea, senza filtro e sempre strepitosa.
Michela Vasini & Andrea Rurali

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