giuseppe ferrara
Il regista Giuseppe Ferrara
Con la scomparsa del regista Giuseppe Ferrara, scomparso sabato 25 giugno all’età di 83 anni presso il Policlinico Umberto I di Roma dov’era ricoverato da giorni, diciamo addio ad uno dei “padri” del cinema d’inchiesta civile del nostro Paese.
Arguto e sopraffino, spesso scomodo per i poteri forti, nel 1969 fonda la Cine 2000 allo scopo di sbloccare quei progetti che non avrebbero trovato una via d’uscita nella burocrazia che occultava le scomode verità al popolo.
Nello stesso anno dirige il docu-film Sasso in Bocca, opera prima di denuncia sulla Mafia italiana in cui mescola foto di repertorio con scene di attori, metodo che diverrà il suo marchio di fabbrica nei lungometraggi futuri. Il film racconta meticolosamente i rapporti fra la mafia siciliana e quella americana, soffermandosi sulla misteriosa morte di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni morto in un incidente aereo nell’ottobre del 1962.
Con Cento Giorni a Palermo (1984) ricostruisce il breve periodo di stanza del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, divenuto prefetto con poteri speciali allo scopo di dare un forte colpo a Cosa Nostra che in quel periodo stava mietendo vittime ogni giorno, non ultimo il segretario regionale del PCI Pio La Torre. Interpretato da Lino Ventura e Giuliana De Sio, nel ruolo della moglie Emanuela Setti Carraro, il film è un resoconto fedele dei tragici eventi che daranno il via alla seconda guerra di Mafia e andranno a ricollegarsi, involontariamente, alla pellicola del 1993 Giovanni Falcone.
Nel 1986 Ferrara dirige Il Caso Moro, il primo film a raccontare i tragici fatti del 1978, e si avvale di un colosso del cinema come Gian Maria Volontè per affidargli il ruolo dello statista della Democrazia Cristiana ucciso dopo ben 55 giorni di prigionia. Tratto dal libro I Giorni dell’Ira dello scritto Robert Katz, che insieme al regista è co-sceneggiatore, anticipa di anni le fiction d’inchiesta, mantenendo però un assetto puramente neutrale, basandosi sulla concretezza delle vicende dell’epoca e riportando minuziosamente lo stato d’animo di Aldo Moro attraverso le sue famose lettere.
Il desiderio di cronaca e di verità dopo le stragi mafiose del ’92 spingono il cineasta a creare quella che sarà una delle opere più importanti per la sua carriera, lo straordinario Giovanni Falcone che a distanza di 23 anni rimane la più feroce istantanea del decennio; ad impersonare Falcone fu un incredibile Michele Placido mentre Giancarlo Giannini indossò i panni del giudice Paolo Borsellino, guadagnandosi una candidatura ai David Di Donatello. Con l’uccisione del mafioso Stefano Bontate nel 1981, i clan della malavita danno il via a una guerra senza precedenti. In questo clima di terrore un gruppo di magistrati lavora senza sosta per uno Stato che non li riconosce: si tratta di Giovanni Falcone, Rocco Chinnici, Paolo Borsellino, insieme ai poliziotti Nini Cassarà e Beppe Montana. Con loro nasce il Pool Antimafia che anni dopo porterà al Maxiprocesso di Palermo.
In una certo modo la vicenda è riconducibile a I Cento Giorni a Palermo riportando la stessa scena dell’uccisione del Generale Dalla Chiesa. Il film si conclude con l’uccisione di Paolo Borsellino, 57 giorni dopo la strage di Capaci in cui trovò la morte l’amico fraterno Giovanni Falcone, con la figlia Lucia che piange sul corpo dilaniato del padre.
Che Giuseppe Ferrara sia stato un regista per molti versi scomodo lo si vede nelle sue ultime opere primo fra tutti I Banchieri di Dio, uno dei suoi film più travagliati che raccontava la morte di Roberto Calvi – presidente del Banco Ambrosiano – attraverso un delicato gioco di potere fra lo IOR, comandato da Monsignor Marcinkus e Roberto Sindona, e Licio Gelli, capo della loggia massonica P2. La figura stessa di Giovanni Paolo II venne messa in discussione, motivo del quale ebbe non pochi problemi.
Un artista illustre che rimarrà impresso indelebilmente nell’immaginario collettivo.
Grazie Maestro…
Simone Sottocorno