Venezia 72: A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino, la recensione

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Prende piede come un intrigante noir mediterraneo, il nuovo film del regista palermitano Luca Guadagnino (Io Sono l’Amore), in concorso alla 72ma Mostra del Cinema di Venezia, per poi destabilizzarsi e virare inesorabilmente, nell’ultima mezz’ora, verso qualcosa di totalmente straniante e ai limiti del tragicomico. Remake del thriller classico di Jacques Deray, La Piscina (1969), con protagonisti Alain Delon e Romy Schneider, A Bigger Splash ne muta l’ambientazione e il contesto lavorativo dei protagonisti ma ne mantiene intatti i meccanismi e le svolte narrative.
Marianne (Tilda Swinton) è una rockstar alle prese con una grave infiammazione alle corde vocali, mentre Paul (Matthias Schoenaerts) è un avvenente fotografo con aspirazioni da filmmaker e passato da alcolista. La giovane coppia decide di trascorrere una quieta vacanza in solitaria sull’isola di Pantelleria (la storia originale aveva luogo in Costa Azzurra), quando l’ex marito di Marianne e migliore amico di Paul, Harry (Ralph Fiennes), decide di far loro una sorpresa e raggiungerli con pochissimo preavviso; ad accompagnarlo ci sarà Penelope (Dakota Johnson), figlia inquieta della quale l’uomo, fino a poco tempo prima, non sospettava neppure l’esistenza. Inutile dire che la scottante riunione metterà in moto una vera e propria reazione a catena di emozioni frenate e rancori celati.
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Sulle vibrazioni e le ritmiche sostenute del rock dei Rolling Stones, si muove a briglia sciolta un Ralph Fiennes dalla recitazione costantemente sopra le righe, vero emblema di quella passione e di quel divertimento che rifiutano ogni sorta di responsabilità, come il personaggio di Penelope tende a ricordarci. Rimarcando il proprio ruolo da istrione del quartetto, Fiennes diverte e intrattiene, fungendo da perfetto contrappeso alla ricercata eleganza ed essenzialità delle composizioni sceniche inquadrate dall’occhio di Guadagnino, coadiuvato dalla sobria fotografia di Yorick Le Saux. Lì dove l’opera originale di Deray metteva maggiormente in moto l’intuito dello spettatore, non palesando fin da subito il passato legame tra Harry e Marianne, Guadagnino decide di giocare a carte scoperte e puntare più sulla consapevolezza, da parte del pubblico, di una svolta negativa inevitabile. Ecco, quindi, che il locus della piscina, vero punto focale dell’arco narrativo del film, si trasforma di conseguenza in un metaforico ring, al bordo del quale ogni personaggio studia i propri avversari e gioca una decisiva partita in singolo.
Il livello di tensione, mantenuto alto in parallelo al caldo soffiare dello Scirocco che innalza la temperatura spirituale dei quattro protagonisti, precipita di colpo al momento in cui avrebbe dovuto raggiungere il suo naturale culmine. La fulminea (e apparentemente casuale) digressione su una tematica sociale che riguarda il presente dell’Europa, pur nel suo suggerire una lieve critica alla mentalità britannica, non basta a donare spessore a un terzo atto di pellicola totalmente sconnesso dal resto, più qualitativamente che narrativamente. Il cinema di ricerca lascia spazio al prodotto televisivo di provincia che, attraverso l’innesto comico e parodistico rappresentato dal personaggio di Corrado Guzzanti, devia erroneamente un semplice ma intelligente dramma familiare in direzione della caricatura e del luogo comune.
Rating_Cineavatar_2-5