Una giusta causa
Felicity Jones è Ruth Bader Ginsburg in Una giusta causa
1956. La giovane Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) diventa matricola alla facoltà di giurisprudenza di Harvard. Oggi la Ginsburg è magistrata e una delle tre donne a ricoprire il ruolo di giudice nella Corte Suprema di nove membri.
Una giusta causa, diretto da Mimi Leder e basato su una sceneggiatura di Daniel Stiepleman, focalizza l’attenzione sul ruolo chiave che Ruth Ginsburg ha avuto durante gli anni nel percorso di cambiamento a favore dei diritti delle donne e della parità dei sessi.
Il racconto si concentra non solo sulla carriera di una donna alle prese con la giustizia, ma soprattutto su come la sua partecipazione al primo caso di discriminazione sessuale (dibattuto in una corte federale nei primi anni ’70) abbia influito nello sviluppo di una strategia legale per mettere in discussione le ingiustizie così profondamente radicate da sembrare perfettamente naturali.

Inutile dire che il rischio di cadere nei classici clichè dei biopic rimane dietro l’angolo ma la regia riesce comunque a fare leva sul coraggio e la brillantezza di una eroina moderna che sfida tradizione e convenzioni.  Il film svolge un ottimo lavoro e descrive quello che Ruth ha realizzato drammatizzando sia la sua partecipazione all’attivismo legale femminista sia il suo impegno intellettuale. È innegabile che le azioni della Ginsburg derivino dalla sua esperienza nella professione legale iniziata ad Harvard e continuata nella ricerca di un impiego. La sola esperienza positiva in cui la disuguaglianza di genere non esiste è tra le mura domestiche: Marty Ginsburg (interpretato da un elegantissimo Armie Hammer), infatti, è un partner ideale e premuroso con la moglie, abile nel gestire la vita familiare con un rapporto di complicità con la figlia adolescente Jane (Cailee Spaeny) e a superare una malattia senza mai pesare sulle ambizioni e sulla vita della compagna. Ruth vive così in un nido sicuro supportata e spalleggiata dall’unico uomo che sembra non volerla mai metterla in ombra.
La vera sfida della narrazione è riuscire a raccontare come tutte le esperienze di vita della Ginsburg portino a un solo obiettivo, quello di sviluppare una teoria costituzionale che possa “persuadere” e convincere i giudici. Una giusta causa centra il risultato, seppur lasciando sperare in qualcosa di più innovativo ed emozionale, ma riuscendo comunque a essere un prodotto completo e stimolante capace di stuzzicare la curiosità dello spettatore.