Toy Story 4

Toy Story 4: un manuale di sceneggiatura non scolastica

Ci sono film in cui la formula Pixar “una lacrima per ogni risata” è talmente ben pensata, scritta e pianificata al dettaglio, da permettere però allo spettatore più abile di sentire, a distanza di minuti, l’approssimarsi di un momento di distensione o di un momento comico. Una scrittura da manuale… che però a volte risulta prevedibile (si legga Il viaggio dell’eroe per acquisire la capacità di prevedere la scena successiva). Sappiamo che stiamo per ridere. Sappiamo quando stiamo per piangere.
Toy Story 4 non è così. È una bomba emotiva che esplode quando meno ce lo si aspetta. Un capolavoro di sensibilità nella scrittura e nella messa in scena che riesce a replicare con il maggior realismo possibile i sussulti della vita. In Toy Story 4 ci sono sequenze comiche che arrivano a tendere la mano come può fare l’amico che ti distrae dalla tristezza. Ci sono momenti di suspense in cui l’ansia è sostituita alla frustrazione del raggiungimento di un obiettivo. Le lacrime, ci sono e sono bellissime, sincere e per nulla ricattatorie, arrivano inaspettate con due/tre parole dette dal personaggio giusto al momento giusto. 

Toy Story 4: un grande universo

Per la prima volta, nella storia della Pixar, il senso e le emozioni del film sono veicolati non solo dallo sviluppo dei personaggi nei 100 minuti di film, ma dalla somma dei lungometraggi precedenti. Questo quarto capitolo si configura come il vero (ed ennesimo) finale di una saga in cui si è perfettamente integrato. I rapporti tra i personaggi sono dati per scontati. A Woody e Buzz (purtroppo quest’ultimo un po’ sacrificato nel film) basta uno sguardo per intendersi. Si può percepire in maniera tangibile una maturazione nei personaggi negli anni. Quando (spessissimo) si trovano in situazioni in cui dover scegliere, le decisioni sono prese sulla base dello sviluppo e di ciò che è stato interiorizzato negli altri film. Woody non esita a lanciarsi in aiuto del nuovo arrivato (in Toy Story del 1995 scattava invece la gelosia), Buzz conosce le debolezze dell’amico e sa come consolarlo. Il gruppo di giocattoli ha imparato a essere gruppo (Toy Story 3) e così via…
A livello tecnico il fotorealismo sfiora la perfezione in alcune inquadrature. L’illuminazione delle superfici e come queste riflettono la luce riempie gli occhi. È uno stile credibile senza perdere il gusto dell’incredibile. Randy Newman bilancia una colonna sonora eccellente, mai troppo invasiva ma assolutamente iconica. Un commento lontano dalle sonorità moderne, spesso invadenti, ma perfettamente in armonia con le immagini.

Per il resto Toy Story 4 è tutto quello che il pubblico si aspetta, ovvero un gioiello di profondità, un viaggio nell’animo umano fatto di accettazione del diverso, capacità di lasciare andare relazioni, affetti, spesso carichi di aspettative non corrisposte. I personaggi perdono il proprio ruolo, autoimposto, nella società. Donano voce a chi sembra crudele. Per accogliere il diverso non basta accettarlo, è necessario guardarlo negli occhi e capirlo. Ma questi sono temi che i fotogrammi sprigionano nel silenzio di sguardi digitali, senza vita, ma umanissimi. E il piacere della scoperta va lasciato allo spettatore.