THE PRODIGY – IL FIGLIO DEL MALE, la recensione dell’horror di Nicholas McCarthy

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The Prodigy
The Prodigy – Il figlio del male
Dopo The Pact (2012) e Oltre il male (2014), Nicholas McCarthy torna al cinema con The Prodigy – Il figlio del male. Sarah (Taylor Schilling) e John (Peter Mooney) sono una felice coppia di neo-genitori, al settimo cielo per la nascita del loro primo figlio Miles. Il piccolo, inizialmente ritenuto di un’intelligenza fuori dal normale, mostra con il tempo disturbi comportamentali sempre più violenti e preoccupanti, fino alla scoperta di un’inquietante verità che metterà in pericolo la vita di tutti.
Classico horror patinato e pulito, di quelli che hanno invaso i multisala statunitensi e italiani nell’ultimo ventennio, The Prodigy si presenta fin dai primi minuti come un prodotto “teen” d’intrattenimento, che non osa mai e si accontenta di qualche momento di tensione costruito con ingegno. Il tentativo di uscire dai cliché della possessione demoniaca, benché di per sé apprezzabile, si ferma ad un livello piuttosto approssimativo: gli stessi luoghi comuni narrativi e tecnici che inflazionano il genere, infatti, vengono applicati con sufficienza ai concetti di reincarnazione e metempsicosi. Il corpo di Miles si ritrova così ad ospitare l’anima di un serial killer ungherese con l’ossessione per l’amputazione delle mani delle vittime, ucciso dalla polizia nel corso di una sparatoria, e la quasi totalità della pellicola verte sulla lotta tra le due “entità” che abitano all’interno del piccolo. Purtroppo, però, è tutto troppo prevedibile, i colpi di scena latitano, ogni sequenza chiama meccanicamente quella successiva e la dignitosa cornice visiva si regge su una sceneggiatura in molti punti traballante (la dinamica con cui si arriva al disperato tentativo finale di salvare Miles è di spiazzante superficialità).

Bisogna altresì sottolineare l’ottima interpretazione di Jackson Robert Scott nei panni di Miles. Il giovane attore, già iconico nel ruolo dello sfortunato Georgie dell’IT – Parte 1 di Andy Muschietti, è l’unico elemento del film a trasmettere ambiguità ed una piccola dose di inquietudine.
È un peccato che in un periodo in cui il cinema horror americano è riuscito in diversi casi a coniugare produzioni di qualità ad un dichiarato intento commerciale, una storia di questo tipo, con alte potenzialità tanto nel cast artistico quanto in quello tecnico, non riesca a centrare pienamente l’obiettivo e lasciare il segno.