THE LAZARUS EFFECT, la recensione

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Non si può più pensare di scrivere e dirigere un horror che possa essere ricordato nel tempo come un buon film – non come un capolavoro, ma almeno un film degno di essere visto o rivisto, qualche volta – chiamandolo “The Lazarus Effect”, per dirne una.
Credendo che non si possa indovinare in partenza come si svolgerà, come finirà; accontentarsi del trailer e dei titoli di testa e decidere di non spingersi oltre. Non dimentichiamoci che il primo Frankenstein (Lazzaro ri-assemblato) di James Whale è stato adattato per il cinema nel 1931 e soprattutto che gli horror migliori sono quelli dove prevalgono le ombre sui muri e l’inquietudine, piuttosto che gli spaventi da “buh” alle spalle o da trucco, parrucco e compositing.
Il regista David Gelb, però, si cimenta comunque: The Lazarus Effect vuole raccontarci una storia in cui un gruppo di ricercatori conduce degli esperimenti per riportare in vita animali morti, sperando un giorno di poter dare una seconda possibilità anche agli esseri umani. Questo momento, però, li coglie di sorpresa: arriva troppo presto, quando una collega del gruppo (la fidanzata del boss), interpretata da Olivia Wilde, ci rimane secca.
Che fare? La ri-accendiamo? Proviamoci, sfidando temi che dalla notte dei tempi attraversano la narrativa di qualsiasi cultura: il rapporto tra bene e male, vita e morte; i limiti oltre i quali l’uomo può spingersi per prendere pieno possesso della propria esistenza terrena, senza incorrere in castighi divini (demoniaci); il ruolo preponderante di un trauma ‘infantile’ nello sviluppo di una personalità adulta; il senso di colpa, motore inconsapevole di molte tra le nostre azioni.
Last but not least, il fatto che gli animali siano sempre i primi a mostrare le avvisaglie del maligno e che siano sempre le prime vittime. Tutti questi ingredienti non sono di per sè garanzia di un film già visto, scialbo, noioso, in cui ci si dispiace che la sceneggiatura non sia all’altezza delle altre fasi di lavorazione, ma innalzano molto il rischio perché sono combinate come succede nella maggioranza degli horror, ossia in stile usa e getta. Poco importa se ci ricordiamo di Frankenstein, appunto, o se ci pare di rivedere un dettaglio di Shining (chi non lo vedrebbe, di fronte a un corridoio con una bambina sussurrante?). Lazzaro può tornare tranquillo a dormire. Per sempre

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