The Brutalist di Brady Corbet, presentato in concorso a Venezia 81, è uno dei titoli più attesi della Mostra e si è rivelato un film potentissimo.

Di cosa parla?

The Brutalist racconta la storia dell’architetto ebreo László Tóth (Adrien Brody) emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947. Costretto dapprima a lavorare duramente e vivere in povertà, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.

Esame di architettura

Più che di fronte a un film, qui ci troviamo davanti all’espressione architettonica di esso. Il film, scitto da Brady Corbet e dalla compagna Mona Fastvold, è intriso di conoscenze architettoniche, scorci di stile Bauhaus e di storia europea moderna a supporto di una narrazione che percorre la carriera dell’immigrato ebreo ungherese László Tóth nel corso di 30 anni.

Girato con uno stile sfacciatamente anacronistico in formato VistaVision, The Brutalist è davvero crudele nella sua forma. Seppure il titolo si riferisca allo stile architettonico del protagonista, l’opera è monumentale (non solo per la sua durata di oltre 3 ore e mezza) e sontuosa, sorretta da una magnificenza visiva che aderisce al tono austero ed essenziale.  

  • – Leggi anche: Vox Lux, la recensione del film di Brady Corbet
the brutalist recensione

Architettura filmica

The Brutalist è un monumentale labirinto drammatico che costruisce diversi piani di narrazione che dialogano, come in architettura, nello spazio e nel tempo. La prima parte è intensa, la facciata di un metaforico palazzo che lascia senza fiato per la sua compostezza e solennità. Si passa poi a un intervallo di 15 minuti inserito al centro, l’elemento a sorpresa, che lascia sempre piacevolmente stupiti. Finisce poi con una seconda parte, il cuore dell’opera, che però non rende pienamente giustizia alla bellezza della prima, mentre racconta il dramma inevitabile in maniera fin troppo complicata.

The Brutalist affronta la tematiche degli immigrati e degli emarginati che cercano fortuna negli USA e lo fa attraverso la parabola narrativa di Toth che incarna perfettamente questo percorso innescando in lui un’ambizione visionaria incapace di gestire.

Com’è The Brutalist?

Il film è visivamente potente nella sua forma, peccando forse di essere umanamente distaccato. L’architettura sembra colpire gli stessi personaggi che agiscono senza nessuna pietas umana rendendo tutto estremante serio e manchevole di qualsiasi accenno di umorismo. Toth non è un personaggio simpatico o, cosa più importante, distintivo; László è un uomo a pezzi che riesce a malapena a far finta di tenersi insieme, e vacilla sul punto di cadere a pezzi più e più volte. Dall’altro lato invece troviamo un Guy Pearce che domina le scene celando, senza troppa sorpresa, un lato oscuro.

Il film è ambizioso, mastodontico e concentrato sulla disperazione e l’angoscia che riesce a mantenere sotto la superficie di tutti i suoi drammi, in un cupo e affascinante muro di cemento.