SARÀ IL MIO TIPO?, la recensione

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Accostare il film Sarà il mio tipo a due oggetti culturali agli antipodi, come sono Il gabbiano di Cechov e Pilipino rock, canzone di Elio e le storie tese, non è insensato. Entrambi rimandano fugacemente ai due personaggi principali, ma l’analogia si può estendere e interpretare a piacimento, magari mettendoci un po’ di fantasia. Vediamo perché.
In coda al brano Pilipino rock c’è un testo che fa cosi: “Voglio fare il parrucchiere! […] Io dentro di me sento che sono un parrucchiere!”. È il mestiere di Jennifer (Emilie Dequenne), cui piace cambiare l’acconciatura, il volto, magari anche l’anima delle persone. Aiutarle a piacersi attraverso un gesto semplice ma spesso carico di un secondo significato come il taglio di capelli.
Il riferimento al Gabbiano, se possibile, è ancor più labile: Clement (Loïc Corbery), professore di filosofia, veste spesso di nero, come Maša, figlia di Il’ja Afanasevič Samraev. Condivide con lei una malinconia simile, una gestione un po’ precaria della propria vita sentimentale. Un temperamento saturnino, che talvolta diventa sinonimo di indipendente, oppure “libero interprete dei vincoli di una coppia”, causa principale dei conflitti che reggono (non sempre e non benissimo) la storia. Perché Jennifer e Clement si sono incontrati e si sono piaciuti, è vero. Hanno deciso d’imbarcarsi in una storia ma senza aver prima stabilito le regole del gioco; lasciando involontariamente (lei) e consciamente (lui) uno spiraglio per poter cambiare idea, dire “te l’avevo detto” o “non ho mai detto questo”, a seconda della situazione. Il piccolo problema di Sarà il mio tipo, però, è che non è semplice capire se l’ignavia di Clement è sempre un tratto del suo carattere o un errore di scrittura.
Quest’ambiguità, difficile da sciogliere, toglie un po’ di forza alla sceneggiatura. Se propendiamo per la prima ipotesi, allora l’identificazione con l’uno o l’altra protagonista è molto semplice: chi si rivede più in lei parteggia per lei, viceversa chi assomiglia di più a lui. Se tendiamo alla seconda, però, il film ha delle gambe molto, troppo fragili, perché tutto quello che accade è una successione di eventi che investe il personaggio di Clement (ma non pare essere questo il leitmotiv del film) anziché raccontarli mentre agiscono, confliggono.
Rimane, tuttavia, la forza del finale inatteso. Rimane l’interpretazione davvero partecipata e pregevole di Emilie Dequenne, che riesce a interpretare il suo personaggio con i suoi punti di forza e le sue debolezze, cedendo alla tentazione del bozzetto ma conservando la profondità di una donna che non si riduce al suo mestiere, anzi: a quello che potrebbe essere considerato un ripiego, adatto a chi non ha la stoffa per diventare filosofo. Rappresentazione del microcosmo femminile, questa, che ricorda un po’ quella che Nadine Labaki aveva dipinto in Caramel, dove – neanche a farlo apposta – c’era di mezzo un salone di bellezza.

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