Un sogno all’apparenza impossibile, quello del francese Philippe Petit che negli anni ’70 decise di punto in bianco di stendere un lungo cavo di metallo tra le due torri gemelle del World Trade Center di New York, per poi camminarci sopra in veste di funambolo. I due imponenti edifici, più alti addirittura dell’Empire State Building, erano stati appena completati e nessun esponente della sua arte aveva ancora mai tentato un’impresa di quella portata.
Diciamolo subito: Petit è un megalomane e un egocentrico, o almeno questo è quello che ci comunica The Walk, nuova opera in 3D stereoscopico del grande Robert Zemeckis (Flight, Cast Away), presentata in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma. L’abile Joseph Gordon-Levitt ce la mette tutta per trasmetterci l’energia e il desiderio del giovane Petit ma la sua continua voce fuori campo non fa altro che accentuare il carattere dell’artista, fino a rendercelo antipatico e stucchevole. Le nostre sensazioni sono amplificate, inoltre, dal fatto che The Walk è un film dove si parla molto (o meglio, è Petit a parlare) e in tre lingue diverse: si passa senza sosta dall’inglese americano al francese, passando per il russo (con accento francese) e qualche sprazzo d’italiano turistico.
L’artista si circonda di un gruppo di persone che lo aiutano nella singolare (e illegale) impresa, a partire da Papa Rudy (Ben Kingsley), capofamiglia di tradizione circense e navigato funambolo di professione, che gli rivelerà tutti i segreti del mestiere e comincerà a vederlo quasi come un figlio. Peccato che il film non riesca mai a comunicarci appieno la profondità del rapporto che lega i due uomini. Allo stesso modo, la storia d’amore con la bella e dolce musicista di strada Annie (Charlotte Le Bon) si riduce a un mero espediente narrativo, senza che i sentimenti della donna intacchino mai realmente il mutevole ed egoistico stato d’animo del suo compagno. In sostanza, l’impresa di Petit ci appare per quello che è: l’atto di un uomo deciso a tutti i costi a realizzare il proprio sogno che, motivato da un’alta considerazione dell’Io (oltre che da un innegabile desiderio di spingersi oltre i propri limiti e mostrare il proprio successo al mondo), offusca l’eccitazione, la preoccupazione e il reale coinvolgimento delle figure al suo fianco. Al di sotto della fune, in lontananza, tutto si mescola, diventa impercettibile e perde di valore.
L’idea generale è che, in realtà, regista e attore abbiano colto pienamente la personalità di Petit, soggetto anche dello splendido Man on Wire di James Marsh (Oscar per il Miglior Documentario nel 2009), e la cosa che colpisce maggiormente è quanto The Walk sia stato in grado di adattarsi, nel bene e nel male, a questo suo carattere. Si tratta comunque di una pellicola energica, frizzante e dai colori accesi e vivaci, fiera (nonostante le proprie imperfezioni) ma in grado di regalarci anche momenti di forte eccitazione e di grande cinema: tutta la parte relativa alla camminata tra le due torri ne è un “alto” esempio e il livello raggiunto dal 3D di Zemeckis, che approfondisce ogni inquadratura (anche i momenti in interno), è tale da trasportarci sensorialmente su quel cavo, tra le nuvole, insieme al nostro eroe. Possiamo percepire ogni singolo metro d’altezza, ogni singolo soffio di vento, tanto da sentire distintamente il peso del nostro corpo che viene attirato in direzione del suolo, distante centinaia di metri; così, ogni movimento di troppo o vibrazione imprevista si trasforma letteralmente in un colpo al cuore.
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