Venezia 74 – MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO, la recensione del film di Abdellatif Kechiche

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Mektoub My Love Canto Uno
Mektoub, My Love Canto Uno di Abdellatif Kechiche
Mektoub My Love Canto Uno
Mektoub, My Love Canto Uno di Abdellatif Kechiche
Sesso, carne, denti, corpi. Venezia accoglie Mektoub, My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche. Già in molti hanno gridato allo scandalo, forse ricordando l’exploit sensuale de La Vita di Adele con protagoniste Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos.
In realtà Mektoub, My Love: Canto Uno, ha come centro propulsivo il continuo rimandare dell’unione tra amanti sebbene il film si apra con due ragazzi che fanno l’amore. Ripresi come sempre da Kechiche senza paura di mostrare il massimo del realismo. Il protagonista Amin li guarda dalla distanza, osserva il tradimento e la passione, l’energia e la voglia di vita dei due. Kechiche costruisce il gioco di passione al contrario: prima con il rapporto e poi, per tutta l’estate, con il gioco di seduzione.
La forza indiscutibile di Mektoub, My Love: Canto Uno sta nell’essere una storia di vita per nulla cinematografica e totalmente realistica. Come tipico dello stile del regista i dialoghi tra i personaggi si intrecciano, si sovrappongono e si interrompono proprio come nella vita reale. I corpi vengono esposti nelle loro imperfezioni e per questo non bisogna gridare allo scandalo, perché è una visione cinematografica autentica che non forza i canoni della sessualità su modelli di perfezione irraggiungibili (Michael Bay, in questo senso, è molto più dannoso). La cinepresa corre vicina ai personaggi, privilegiando quasi esclusivamente il primo piano e il piano medio, mai i totali. C’è il sudore di un ballo sfrenato in discoteca, c’è la leggerezza (piuttosto inquietante) della gioventù senza guide. Mektoub, My Love: Canto Uno gronda di vita dalla prima all’ultima inquadratura.
Mektoub My Love Canto Uno
Mektoub, My Love Canto Uno di Abdellatif Kechiche
Impossibile non guardare all’opera di Kechiche come prodotto avanti anni luce rispetto ai più tradizionali modelli narrativi. Un continuo attentato ad ogni artificio retorico tipico del cinema più emotivo.
Eppure quello che ne La Vita di Adele era una cifra stilistica carica di compassione dello spettatore nei confronti delle due amanti, in Mektoub, My Love: Canto Uno diventa straniante. Amin è un personaggio impossibile da intercettare empaticamente. Egli è fermo, immobile nel suo arco di crescita, tanto da chiamarsi fuori dal gioco erotico e restare sostanzialmente lo stesso dall’inizio fino alla fine del film.
Nell’estate dei ragazzi e le ragazze c’è un continuo scambiarsi di coppie, un gioco di seduzione quasi animalesco che guida ogni scelta. Amin osserva, è interessato da altro, dalla fotografia, dal cinema, dalla luce. Ma quando l’arco del personaggio dovrebbe giungere a compimento, con l’osservare la nascita di un agnellino, il film fallisce. Kechiche confida troppo nelle sue possibilità, nel suo status autoriale, e propone una sequenza talmente ambiziosa da diventare kitsch e irricevibile. Quando deve tirare le fila di un discorso iniziato due ore prima Mektoub, My Love: Canto Uno si concede un’ultima ora autocompiaciuta e artificiale.
Mektoub, My Love Canto Uno di Abdellatif Kechiche
Mektoub, My Love Canto Uno di Abdellatif Kechiche
Siamo solo al primo di tre Canti, per cui il progetto (come affermato dall’autore stesso) potrebbe venire rivalutato una volta considerato nella sua interezza. Probabilmente sarà così, perché Mektoub: My Love è troppo immersivo, cinematografico e sentito per potere essere così inconcludente sul finale.
Giudizio sospeso, quindi, fino alla fine della trilogia.

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