Dopo la première al Festival di Cannes, Megalopolis arriva per l’anteprima italiana come film di pre-apertura alla Festa del Cinema di Roma
La mastodontica opera di Francis Ford Coppola, Megalopolis, presentata alla 77esima edizione del Festival di Cannes, ha una fama che la precede: con le prime bozze realizzate appena dopo Apocalypse Now, la mancanza di supporto degli studios, i più di 100 milioni di euro sborsati direttamente dalle tasche dell’autore, di film come Megalopolis oggi non se ne vedono più.
Riflettendo su potere, creazione, violenza, fede, famiglia e amore, Coppola firma una critica agli Stati Uniti ed esprime tutte le sue paure per il futuro dell’umanità e del cinema, confezionando un film guidato dalla sua imperitura ambizione che però si affloscia su se stesso. Megalopolis, purtroppo, risulta un miscuglio di discorsi poco chiari e inefficaci.
- – Vedi anche: Megalopolis: il primo trailer del film di Francis Ford Coppola
Di cosa parla Megalopolis?
Anno 2024. In una dimensione alternativa New York è New Rome, una metropoli governata da un’oligarchia di famiglie ricchissime in una società capitalista costruita sullo sfarzo della Roma antica. Il potere è in mano al sindaco Franklyn Cicerone (Giancarlo Esposito), il quale ha perso consensi e si trova a doversi scontrare con l’astro nascente Cesare Catilina (Adam Driver), ambizioso e brillante architetto con un grande progetto urbanistico, la creazione di Megalopolis, una città utopica e inter-conessa costruita con il megalon, un innovativo materiale dalle potenzialità quasi magiche. Anello di congiunzione tra i due è la figlia di Cicerone Julia (Nathalie Emmanuel), affascinata da Catilina, che avrà il compito di capire come conciliare conservatorismo e futurismo in modo da risanare gli USA in rovina e in senso ampio l’umanità stessa.
New Rome Stories
Le intenzioni di Coppola sono quelle di operare un paragone tra il passaggio dalla Roma repubblicana a quella imperiale e il passato, il presente e il futuro degli Stati Uniti. Per far ciò egli rimugina sul concetto di creazione, intesa come costruzione architettonica simbolo di civiltà ma anche, di riflesso, della creazione di un mito che ha gettato le basi per tutta la cultura occidentale, così Roma quanto metonimicamente New York.
Il regista non è certamente il primo a muovere una critica agli USA negli ultimissimi anni, specialmente in un clima politico teso come quello contemporaneo, basti pensare a Killers of the Flower Moon dell’amico e collega Martin Scorsese, che analizza le radici sanguinarie nascoste del passato di una nazione e come anche fa Brady Corbet col suo ben accolto The Brutalist.
È ora, sembrano dire gli statunitensi, di riflettere sul potere e su quali basi si è costruito quello che è (o era?) l’impero americano ma soprattutto è tempo di riflettere sul suo futuro, sempre se esiste ancora.
In tutto ciò a incarnare questo discorso c’è Cesare Catilina, un uomo con grandi ambizioni per l’umanità, un genio visionario cui i potenti non danno credito tra SpaceX e Silicon Valley, in uno slancio autoriflessivo mai negato dal regista che a tutti gli effetti si identifica col suo protagonista. Le fantasie utopistiche di Megalopolis, la possibilità di sognare un mondo nuovo ma del tutto ignoto vengono in qualche modo celebrate come una fondamentale apertura che sembra anche l’unica via possibile per una umanità allo sbaraglio. Ma non sarà anche questa l’ennesima illusione destinata a pochi?ù
Un sogno lungo un attimo
Dopo tutta una necessaria premessa e dopo aver individuato le intenzioni non resta che entrare nel cuore di Megalopolis, nella sua sfarzosità barocca e scintillante, nel suo impianto visivo kitsch e patinato: costruito su set gargantueschi e teatrali, il film non riesce a portare a compimento nessuno dei numerosi discorsi che accenna, rimanendo sempre incagliato nella sua superficie glitterata.
È soprattutto nella scrittura, frutto di continui rimaneggiamenti nel corso degli anni, che il film inciampa nei suoi toni indecisi e nei dialoghi che oscillano tra lo sguaiato e l’enfatico, con un risultato grottesco che crea straniamento per la sua artificiosità, non riuscendo ad amalgamare i registri in maniera coerente ed efficace. Alla luce di ciò anche le interpretazioni del cast stellare risultano quanto mai sottotono, non valorizzando senza dubbio la presenza di attori come Aubrey Plaza, Laurence Fishburne, Kathryn Hunter e Shia LaBeouf oltre ai già citati Driver, Emmanuel ed Esposito. Anche Dustin Hoffman, Jon Voight e Talia Shire, simboli del passato sfarzoso dell’iconica New Hollywood risultano ridotti a poco più che macchiette.
Le citazioni alla Roma antica, alle Catilinarie, a William Shakespeare, ai grandi architetti e visionari americani appaiono spesso goffe e approssimative, ridondanti orpelli senza alcuna coerenza narrativa. Anche gli stessi discorsi sul futuro dell’America prendono una forma incerta, tra critiche didascaliche al populismo fascista e complicità verso un’utopia palesemente destinata al fallimento.
Com’è Megalopolis?
Megalopolis è un film poco riuscito che non ha trovato né una sua direzione narrativa né una sua direzione ideologica precisa. Una riflessione sull’America che, seppur offra interessanti spunti di pensiero, non arriva mai a dire davvero qualcosa di significativo.
Il mondo artificiale e artificioso creato da Coppola è di una sfarzosità sabbiosa poco stimolante a livello visivo e in contrasto con le intenzioni grandiose dell’epopea sull’America. Le immagini, il suono, le interpretazioni e la scrittura sembrano strati senza alcuna coesione, forse frutto di troppi stimoli accumulati in tanti anni di ricerca e non incanalati nel giusto modo. Pur ammirando appieno le intenzioni di un artista che ha rivoluzionato la storia del mezzo non scendendo mai a compromessi, non si può fare a meno di considerare Megalopolis come una grandissima occasione sprecata, la visione di un Icaro ormai troppo vicino al sole.
Fonte immagine: Festa del Cinema di Roma