Con Master Gardener Paul Schrader chiude la sua personale trilogia iniziata con First Reformed e The Card Counter, entrambi presentati a Venezia.

Paul Schrader torna a Venezia per ricevere il Leone d’Oro alla Carriera e presentare in concorso un’altra cruda storia di redenzione maschile: Master Gardener.

Narvel Roth (Joel Edgerton) è un giardiniere riservato e meticoloso che gestisce i terreni della grande tenuta di Gracewood. Un giorno Norma Haverhill (Sigourney Weaver), proprietaria del terreno, chiede di assumere la nipote Maya (Quintessa Swindell), una “sangue misto” i cui genitori sono morti e ha bisogno di un lavoro per dare una svolta alla sua vita.

Master Gardener recensione
Joel Edgerton e Sigourney Weaver in Master Gardener recensione
Trilogia della redenzione

Dopo First Reformed e The Card Counter, esempi riusciti della vitalità del cinema di Paul Schrader, Master Gardener conclude una sorta di trilogia della redenzione, costruita attorno alle figure di uomini soli e tormentati, in cerca di una riscatto che sembra impossibile.

La grande abilità del cinema di Schrader sta nel raccontare storie di anime perdute e tormentate, relegate in purgatori terreni in cui affrontano drammi interiori nel silenzio di squallide stanze spoglie.

Schrader ha scelto, negli ultimi anni, di affidare ad attori quali Ethan Hawke, Oscar Isaac e Joel Edgerton ruoli complessi e inquieti, personaggi scossi da profondi tumulti interiori e passati incombenti.

Master Gardener recensione
Sigourney Weaver in Master Gardener recensione
Estetica e amore

Tutto nel film, come ormai ci ha abituato Schrader, è privo di colori. Tutto tende al grigio. Nonostante la maggior parte delle scene sia ambientata tra fiori e piante apparentemente spettacolari, il film si appoggia su toni polverosi sotto un cielo, costantemente, nuvoloso.

L’arrivo di Maya è un tocco di colore che però, ben presto, perde la sua vivacità omologandosi all’ambiente. La maggior parte della storia riguarda lo svolgimento del travagliato percorso di Narvel, il suo passato e i tatuaggi che segnano gli errori del passato, e la relazione che intraprende con Maya.

Ancora una volta Schrader sceglie la redenzione attraverso la figura femminile, anche se questa volta non sembra innescare la scintilla del cambiamento, che arriva senza alcuna avvisaglia nella prima parte della pellicola. Delude, quindi, la scelta di dare al personaggio di Maya il potere di trasformare un uomo problematico.

Schrader mette in scena, ancora una volta, personaggi che cercano compassione senza mai ritenere che sia meritata o a loro dovuta. L’ambiguità morale, tra azione e intenzione, rende il suo lavoro in bilico tra la riuscita di una storia da una parte e la confusione dall’altra. Master Gardener è un lavoro meno brillante rispetto agli altri due tasselli della trilogia, un film che perde la spinta inziale, molto interessante, adagiandosi su un finale spento e senza sussulti. Ma almeno più ottimista.

Presentato fuori concorso alla 79. Mostra del Cinema di Venezia.

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