IL SEGRETO DEI SUOI OCCHI di Billy Ray, la recensione

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Essere o non essere? Questo è il problema.
È una questione di identità, di integrità narrativa e cinematografica. Ogni volta che ci troviamo di fronte a un remake diventa sempre più difficile non fare parallelismi con i film originali, i primi in ordine di tempo ad essere realizzati, che in qualche modo, grazie ad intuizioni inebrianti e particolarità tecniche, hanno lasciato il segno e scritto, attraverso le immagini, “pagine” indimenticabili di autentico cinema. Parliamo di pagine, le stesse che Ricardo Darin, alias Benjamín Esposito, cercava di riempire per completare il suo romanzo nel magnifico Il Segreto Dei Suoi Occhi di Juan Josè Campanella. Un percorso tortuoso, complesso e liberatorio quello seguìto dal suo personaggio, un viaggio nel passato intriso di ricordi indelebili che hanno condizionato la sua esistenza, racchiusa ermeticamente nella stessa scatola in cui per 25 anni è rimasto custodito un inconfessabile segreto. L’encomio degli Academy al regista argentino è stato emblematico: con il premio Oscar al miglior film straniero nel 2010, “El secreto de sus Ojos“ ha rafforzato lo straordinario successo di pubblico e critica in tutto mondo, merito di una visione assolutamente autoriale di un abile cineasta che, così come il romantico William Blake, ha dipinto un quadro di poesia e decantato l’amore in ogni sua forma ‘divina’.

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E sono proprio le infinite sfumature delle cose, combinate con gli approcci e le rappresentazioni, a definire la natura delle storie e ‘l’essere’ dei film, soprattutto se l’oggetto in questione riguarda il trattamento di un capolavoro conclamato che non necessitava alcun tipo di revisione. Ma Hollywood non è nuova a questo genere di operazioni, e assecondando il sistema produttivo ‘genera soldi’, ha preso possesso di una pellicola d’autore per rivisitarla in chiave commerciale con un budget consistente ed un parterre di attori di caratura internazionale.
Il Segreto dei Suoi Occhi arriva al cinema esattamente sei anni dopo il suo predecessore e, nonostante i preventivi dubbi ‘amletici’ e d’orientamento strutturale, riesce a chiudere il cerchio di una vicenda parzialmente modificata in modo onesto e con una propria dignità. Sotto la guida di J.J. Campanella, produttore esecutivo del nuovo adattamento, il regista di ‘Breach L’infiltrato Billy Ray ha preservato lo scheletro originario dell’opera argentina (a sua volta basato sul libro “La pregunta de sus ojos” di Eduardo A. Sacheri), senza rinunciare a piccoli interventi registici e di messa in scena nella costruzione delle inquadrature. Ray, Claire e Jess sono tre colleghi che dividono la scrivania negli uffici dell’FBI e improvvisamente si trovano ad affrontare una terribile tragedia che si è consumata sotto i loro occhi. Un brutale e sconvolgente assassinio cambierà irrimediabilmente le loro vite e li porterà a far luce su quanto accaduto, nel tentativo di trovare finalmente l’omicida e compiere in ogni modo giustizia, anche aggirando le barriere di un’istituzione (FBI) troppo cinica e opportunista per applicare la legge alla lettera.

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La scelta degli attori è senza dubbio coerente e adeguata con la linea sposata dal regista: Chiwetel Ejiofor, Nicole Kidman e Julia Roberts camminano sul filo di un storia dai risvolti drammatici che mescola atmosfere ‘noir’ e situazioni intense che strizzano l’occhio al cinema di David Fincher e ai thriller contemporanei americani. L’utilizzo di una fotografia livida e sottoesposta contribuisce a creare un’aura ombrosa nella quale sono inseriti i protagonisti principali che mettono in campo le loro abilità recitative e donano alla sceneggiatura un deciso colore.
Il contesto ‘americano’ in cui viene calato Il Segreto dei suoi Occhi è figlio del ‘dopo 11 settembre’, di una nazione unita che non ha mai dimenticato l’orrore di quei momenti e tenta pedissequamente di fronteggiare il terrorismo. Ma se questo escamotage potrebbe risultare un buon tentativo di seguire una strada differente rispetto al passato, l’anello debole del lungometraggio è legato al distacco emotivo, al pathos sentimentale che aveva contraddistinto il film originale e ora fatica a penetrare in profondità nel cuore dello spettatore. Nel 2010 Campanella raccontava a suo modo un’incredibile parabola straziante, dalle fulminee emozioni, in cui forza, amore, passione e impeto ‘platonico’ venivano miscelati con estrema delicatezza e totale armonia. Gli occhi dei personaggi erano i veri protagonisti che invece, nella versione di Ray, sembrano aver perso l’orientamento visivo. Quello angelico, sincero, di quegli occhi che nascondevano un segreto: l’amore puro e semplice che vive in un mondo dove il tempo non esiste e la speranza ha il potere di trasformare le parole da ‘Temo’ a ‘TeAmo’.
Recensione pubblicata in contemporanea su MaSeDomani.com

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