IL MURO TRA DI NOI, la recensione del corto di Federico Del Buono

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Le eteree campagne dell’Appennino bolognese, permeate dei soli suoni della natura, sembrano sancire un altro tipo di quiete.
Una quiete dalle fattezze ostili, un silenzio che imprigiona il desiderio di cambiare le cose, rafforzando in antitesi l’idea di non poter riuscire nell’intento.
Con la perdita della compagna di una vita, il settantenne Pietro (Ivano Marescotti) sceglie di chiudersi in sé, negando anche la più semplice parola ai due figli, Alex e Monica (Stefano Pesce e l’emergente Vanessa Montanari), impegnati a prendersene cura nella casa di campagna dove sono nati e cresciuti. All’arrendersi di Monica di fronte alla fortezza che il padre si è costruito attorno, Alex si ritroverà a dover affrontare la situazione con le sue uniche forze.
Ma come può un figlio riuscire a far breccia nel cuore di un genitore, quando questi sembra aprirsi esclusivamente nei confronti di un fiore solitario, cresciuto in preziosità nel giardino di casa, piantato da una persona speciale prima di una triste dipartita?
E come si può sperare di far fronte alla mancanza di dialogo con il proprio vecchio, quando si è incapaci per primi di aprirsi all’amore di una figlia distante?
Il Muro tra di Noi set
Stefano Pesce, Vanessa Montanari, Ivano Marescotti e Federico Del Buono sul set
Dopo essersi già fatto notare tra le fila del circuito bolognese di cortometraggi indipendenti (grazie soprattutto al corto Conquista il Mondo, con protagonista la stessa Montanari), il giovane Federico Del Buono, classe 1992, alza l’asticella del suo operato con l’aiuto di un cast d’eccezione, proponendo un intimo spaccato di vita quotidiana, il ritratto di una ferita emotiva che investe con delicatezza lo spettatore, proprio in virtù del suo essere facilmente riconoscibile e condivisibile.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, però, Il Muro tra di Noi trova i suoi protagonisti non tanto nei membri di questo semplice nucleo familiare, quanto in quei piccoli oggetti di uso quotidiano che, rivestiti di una magica aura che poche persone al mondo riescono a scorgere e comprendere, impreziosiscono le nostre vite (di fatto rendendoci più facile affrontare un forte dolore o uno schiacciante distacco) ma che, allo stesso tempo, rischiano di portarci a fondo con loro, se assunti come nostre uniche ancore di salvezza.
Marescotti, forte della sua decennale esperienza drammatica in teatro e sul grande schermo, fa trasparire il peso del tempo, delle errate prese di posizione e degli errori del passato, attraverso movimenti semplici, acciacchi e lacrime trattenute, coadiuvato dalla crescente rabbia senza risposta che Stefano Pesce riversa nel suo personaggio, così ostile al padre taciturno, eppure tanto simile a lui nell’affrontare gli ostacoli che la vita ci pone dinnanzi.
Ognuno di noi percorre il proprio cammino, cercando di prendere le distanze dai cattivi esempi che lo circondano, continuando a ripetersi di essere diverso… ma il fatto è che non possiamo sottrarci dall’essere il naturale specchio delle persone che ci hanno concepito e cresciuto. Solamente a partire da questa accettazione, può avvenire il vero cambiamento e, dopo esserci tuffati alla sorgente del nostro stesso essere, possiamo finalmente prendere in mano le redini della vita che ci meritiamo.