Honey Don’t! di Ethan Coen è una dark comedy che si diverte a sabotare se stessa, sfilacciando la trama in un coraggioso caos.

Di cosa parla?

Honey Don’t! segue Honey O’Donahue (Margaret Qualley), un’investigatrice privata di Bakersfield, una piccola cittadina della California, alle prese con una serie di morti misteriose legate a una chiesa isolata e al suo carismatico leader (Chris Evans).

Una trama incoerente

Honey Don’t! è un noir che si diverte a sabotare se stesso. La trama procede a scatti, apre piste che non chiude, devia appena intravede una direzione. Non c’è costruzione progressiva né tensione: il film preferisce frantumarsi, trasformando il giallo in un itinerario inconcludente.

Honey Don’t! non cerca di essere coerente, e forse è proprio questo il suo punto di forza: un giallo che si disintegra mentre lo guardi, lasciando dietro di sé solo frammenti brillanti e imprendibili nei quali perdersi. Un film che non vuole condurti da nessuna parte, ma solo farti smarrire con stile.

La struttura del film procede per deviazioni. Ogni scoperta invece di portare avanti l’indagine sembra portare a nuove soluzioni, come se il film fosse costruito più per accumulazione che per progressione. Le sotto-trame appaiono e scompaiono, alcune risolte bruscamente, altre lasciate sospese, con svolte improvvise che non sempre trovano un terreno preparato.

La frammentarietà disorienta, ma è molto coerente con l’esperienza della protagonista: Honey si muove in un mondo in cui i nessi causali non reggono, dove ogni pista finisce nel nulla.

Il fascino del disordine

Honey, splendidamente interpretata da Margaret Qualley, è l’unico punto fermo; magnetica e disordinata, capace di dare un senso temporaneo al caos che la circonda. Gli altri personaggi, sia Chris Evans che Aubrey Plaza, restano sagome prive di spessore, quasi utilizzate come comparse per innescare nuove deviazioni di trama.

Ethan Coen punta tutto sull’effetto istantaneo, sacrificando coesione e profondità affidandosi a una messa in scena curata, cromaticamente satura, con un tono riconoscibile, ma non riuscendo a compensare la leggerezza strutturale. Pur sacrificando coesione e sviluppo, Coen riesce a trasformare la discontinuità in stile. La sceneggiatura, infatti, predilige episodi isolati, dialoghi serrati e cambi di tono repentini che spezzano ogni possibile linearità.

Honey Don’t! riesce a essere più coinvolgente proprio quando rifiuta l’idea di un disegno unitario e lascia che il caos resti tale, senza tentare di disciplinarlo. Il risultato è un film brillante a sprazzi ma evanescente, che non vuole portarti da nessuna parte, e ci riesce perfettamente.

Com’è il film?

Honey Don’t! è un’opera volutamente sbilenca, che preferisce l’energia al controllo e accetta di essere frammentaria pur di restare imprevedibile. Non costruisce un universo coerente né personaggi pienamente definiti, ma compensa con ritmo, invenzioni e un senso di disordine contagioso.

Il film convince soprattutto come esperienza più che per la sua riuscita narrativa. Si è di fronte a un’immersione completa in un mondo instabile e beffardo, dove ogni pista è falsa e ogni incontro può svanire un attimo dopo. È lì, nel continuo slittamento dei suoi elementi, che trova la sua forma più riuscita.

Un caos coraggioso.

REVIEW OVERVIEW
Regia
Scenggiatura
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora
Intepretazioni
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Michela Vasini
Procrastinatrice seriale, produttrice di film mentali e l'"amica simpatica" della protagonista. Amo il buio della sala cinematografica, ma non disdegno anche un bel film sul divano in un pomeriggio piovoso. Sono alla continua ricerca degli ingredienti necessari a rendere speciale ogni giornata; energie positive, dei buoni amici e un buon sonno. Me and karma vibe like that
honey-dont-la-recensione-del-film-di-ethan-coenHoney Don’t è un’opera volutamente sbilenca, che preferisce l’energia al controllo e accetta di essere frammentaria pur di restare imprevedibile. Non costruisce un universo coerente né personaggi pienamente definiti, ma compensa con ritmo, invenzioni e un senso di disordine contagioso. Il film convince soprattutto come esperienza più che per la sua riuscita narrativa. Si è di fronte a un'immersione completa in un mondo instabile e beffardo, dove ogni pista è falsa e ogni incontro può svanire un attimo dopo. È lì, nel continuo slittamento dei suoi elementi, che trova la sua forma più riuscita. Un caos coraggioso.